sfida delle parate
Crisi Ucraina, Mario Draghi in Usa da Joe Biden nel giorno peggiore
Il viaggio di Mario Draghi a Washington rischia di assumere un significato politico per certi versi inaspettato. Il premier, infatti, volerà oltreoceano lo stesso giorno in cui Vladimir Putin potrebbe incendiare i rapporti già tesissimi con gli Stati Uniti. Il presidente russo avrebbe scelto il 9 maggio per dichiarare la «guerra totale» all’Ucraina, proclamando la legge marziale e la mobilitazione di massa. È in questo clima incandescente che il capo del governo italiano vedrà Joe Biden. Il bilaterale è fissato il 10 maggio. Al centro dell’incontro c’è «il coordinamento con gli alleati sulle misure di sostegno al popolo ucraino e di contrasto all’aggressione ingiustificata della Russia». I due leader si confronteranno anche sullo «sviluppo della sicurezza transatlantica». Parole che vogliono dire una cosa sola: Biden chiederà a Draghi un sostegno senza riserve alla linea dura americana. A Washington non basta più aiutare l’Ucraina, punta a far cadere Putin. Le trattative di pace sono sparite dall’agenda diplomatica. E Draghi viene sempre più percepito come l’alleato più fedele dell’America. I maliziosi sospettano che stia lavorando dietro le quinte per aggiudicarsi la poltrona di segretario generale della Nato. Intanto, l’Italia è quarta al mondo per aiuti militari inviati a Kiev.
Se Putin ha scelto davvero il 9 maggio per imprimere un’escalation al conflitto, sia in termini militari che propagandistici, sarà difficile per Draghi non accondiscendere ad ogni richiesta di Biden. I partiti che sostengono il suo governo, però, chiedono proprio il contrario: maggiore autonomia e indipendenza da Washington. Non c’è solo Giuseppe Conte a nutrire grandi perplessità. Anche la Lega gradirebbe maggiore cautela. Da tempo Matteo Salvini invoca prudenza. Ha stigmatizzato le parole del presidente americano che «non aiutano a distendere il clima». E ha lanciato un appello a «parlare di pace e non soltanto di armi e di guerra». Per il numero uno del Carroccio, «parlare di guerra nucleare allontana la pace, schierare missili ai confini allontana la pace. Mi piacerebbe che ci fossero più persone che parlassero di pace. Giocare alla terza guerra mondiale non mi pare saggio». Anche Forza Italia, senza criticare direttamente il presidente del Consiglio, invoca prudenza. Per Antonio Tajani «si devono inviare armi per permettere all’Ucraina di difendersi dall’attacco russo». Ma «non armi che devono servire a fare la guerra alla Russia. Su questo dobbiamo essere molto chiari, perché l’obiettivo finale è di raggiungere il cessate il fuoco e la pace». È lo stesso ragionamento di Conte. In un’intervista al Fatto quotidiano, il capo pentastellato è stato chiaro: «Sarà importante che il premier chiarisca l’indirizzo politico che intende far valere nei contesti internazionali, e che questo sia vagliato e approvato dal Parlamento». L’incontro con Biden è proprio uno di questi contesti.
L’unico partito di maggioranza che non sembra interessato a dibattere della questione è il Pd. Interpellato in merito, Enrico Letta ha scelto di dribblare il tema: «Non ho ancora letto i giornali - ha detto ieri ai microfoni di Radio 1 - Sono a Palermo per occuparmi di altre cose. Ci sarà tempo per occuparmi di questo nel corso della giornata». Ma con il passare delle ore non è arrivata nessuna presa di posizione. Il segretario Dem ha già chiarito che «si fida delle decisioni che prenderà il governo», perché Draghi «ha già dimostrato grande equilibrio». Mentre le forze politiche si dividono, Draghi prepara un altro viaggio. Quello dal presidente ucraino. Potrebbe avvenire ogni giorno a partire da domani. Lo ha promesso a Zelensky. Ma non è detto che all’ultimo possa rinunciarci.