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Tirelli: "Gli editori dei social hanno più potere di un monarca del XVII secolo. Serve un regolamento"

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Purtroppo siamo ben oltre la profetica visione di «1984» di George Orwell. Stiamo correndo verso un futuro presidiato dalla polizia del gusto e delle opinioni. Un futuro di intolleranza e di non libertà. Per venti anni, il Pd e la sinistra hanno messo in scena la pantomima della democrazia in pericolo per il (presunto) conflitto d'interessi di Silvio Berlusconi, proprietario di tre emittenti tv e, per ciò stesso, burattinaio delle italiche coscienze. E su questo conflitto d'interessi (ripeto: presunto) si è innestata la «magistrocrazia» che ha imbrigliato il Paese per tentare di fermare un solo uomo.

Oggi che la manipolazione delle masse è invece reale, e non per la tv ma per lo strapotere dei social network, il mondo liberal e finto progressista tace. Evidentemente compiaciuto del fatto che la quasi totalità dei social sia in mano a imprenditori e tycoon amici. Fa storia a sé Elon Musk, l'uomo più ricco del mondo, che ha recentemente acquistato Twitter per liberare l'«uccellino blu» dalla gabbia del politically correct. E già entrato nel mirino degli "odiatori" di professione che faranno di tutto per rendergli la vita difficile. Ma il Twitter di Elon Musk è una oasi nel deserto di un mainstream plasmato secondo i desiderata dei grandi centri di potere (politico e finanziario). Un non-luogo di confronto e di discussione dove sono ammessi soltanto i ragionamenti compatibili con l'opinione dominante. Nei fatti di sinistra. Per dirla con Hegel, i social attualmente sono come «la notte in cui tutte le vacche sono nere».

Oggi, l'editore di un social network ha un potere che nessun politico, nessuna autorità governativa possiedono. E non solo per la gestione planetaria di informazioni preziosissime. Il potere di veto, di cancellare, filtrare, assecondare un ragionamento piuttosto che un altro fanno assomigliare i miliardari americani della Silicon Valley ai monarchi assoluti del XVII secolo. Assoluti nel senso latino di «absolutus», sciolto cioè dai vincoli e dai lacci della legge. Esiste oggi un modo per esprimere in libertà la propria visione della vita e delle cose condividendola col pubblico? Purtroppo, la risposta è no. Basterebbe pensare al confino digitale cui è stato costretto, da presidente degli Stati Uniti in carica, Donald Trump: espulso a vita dalla comunità social solo perché sgradito all'establishment. E stiamo parlando dell'uomo, all'epoca, più potente del mondo. Figuriamoci noi comuni mortali.

E allora bisogna riaffermare con forza il primato della politica e iniziare a ragionare sulla necessità, ormai improcrastinabile, di varare una normativa europea che regoli il funzionamento di Facebook e di altre piattaforme social. Che oggi rappresentano una delle fonti di informazione più seguite al mondo e che pertanto devono sottostare, come tutti i media, a regole e dettami ben precisi. Bisogna restituire libertà e agibilità democratica alla tecnologia, che è anarchica per natura. Cercare di piegarla alle necessità di questo o quel centro di potere è il modo migliore per distruggerne l'essenza e la sua stessa finalità. Bisogna disarmare e togliere le manette agli sgherri del pensiero.

Così come è necessario rivedere la normativa a fondamento dell'informazione bancaria del World Check. Un gigantesco database che scheda la reputazione di quanti sono attivi sul piano bancario e finanziario, e che ha il potere – in pochi istanti – di distruggere la reputazione di un individuo o di una impresa con danni incalcolabili dal punto di vista sociale. Prima inizieremo, tanto meglio sarà.

Alexandro Maria Tirelli
Presidente delle Camere penali del diritto europeo e internazionale

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