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È l'ora del centrodestra. Solo Meloni, Salvini e Berlusconi sono pronti a governare il Paese

Daniele Di Mario
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Se solo la smettessero di litigare... Tra un anno avrebbero l’onore e l’onere di guidare il Paese. Perché a ben guardare, nonostante tutto, sembra essere il centrodestra l’unica coalizione in grado di poter governare. Detto oggi, dopo l’ennesimo scontro verbale tra Fratelli d’Italia e partiti di governo avvenuto nei giorni scorsi, può sembrare una provocazione. Eppure, analizzando meglio la situazione, lo scenario non è così fosco per la coalizione di centrodestra.

LEGGE ELETTORALE
Anzitutto, i sondaggi e la legge elettorale. Quest’ultima obbliga oggi a formare coalizioni, indispensabili per essere competitivi nei collegi uninominali. È per questo motivo che chi fatica a ipotizzare alleanze a destra o a sinistra - è il caso di Azione di Carlo Calenda, ad esempio - teorizza il ritorno al proporzionale, magari con una soglia di sbarramento alta, che non sarebbe mal visto neanche dal M5S e da parte del Pd perché renderebbe tutti liberi di fare la propria campagna elettorale puntando sui temi più cari ai rispettivi elettorati e di ritrovarsi dopo di nuovo al governo insieme. Cosa impossibile con questa legge elettorale. Perché, se da un lato può ben accadere che alla fine non ci sia alcun vincitore (è già successo nel 2018), dall’altro lato obbliga i partiti a unirsi e costruire piattaforme programmatiche comuni. E su questo il centrodestra pare nettamente avvantaggiato.

SONDAGGI
Ci sono poi i sondaggi, che danno ancora Fratelli d’Italia e Partito democratico in un serrato testa a testa e sottolineano la flessione dei partiti di governo, in particolare Lega e M5S. Prendendo la supermedia Agi/Youtrend (una media ponderata dei sondaggi nazionali sulle intenzioni di voto) di questa settimana, nel centrodestra, il partito di Giorgia Meloni è dato al 21,1%, il Carroccio al 15,9% (per la prima volta sotto al 16), Forza Italia all’8,5. In totale, la coalizione ha il 45,5%, al quale andrebbero aggiunti i partiti centristi. Quanto ai partiti di centrosinistra, invece, il Pd si attesta al 21,2%, seguito dal M5S al 13,3% e Articolo Uno al 2, Sinistra Italia al 2,1. Totale: 38,5%. Sette punti in meno rispetto al centrodestra. Certo al conteggio mancano Azione/+Europa (4,4%) e Italia Viva (2,1), che hanno fatto sapere di non essere disposti a considerare un’alleanza a sinistra se il Pd insisterà nel voler tenere in coalizione i cinque stelle. I sondaggi di questa settimana segnalano <WC1>la flessione delle forze di maggioranza, che perdono nel complesso oltre un punto, ma il calo riguarda solamente le componenti centriste e di centrodestra: la componente più consistente della maggioranza continua a essere quella giallorossa, che vale il 36,6% delle preferenze virtuali<WC>, contro il 32,5% del centrodestra di governo:<ET>26% Lega-FI-Toti, 6,5% i centristi liberali. Ma, se si guarda alle coalizioni, il discorso cambia radicalmente. La supermedia Agi/YouTrend infatti da il centrodestra unito al 47,1%.

I PROGRAMMI
Il centrodestra maggioranza del Paese. E, al momento, una legge elettorale che massimizza questo vantaggio. Se si votasse oggi il centrodestra avrebbe una maggioranza parlamentare tale da garantirgli di governare. E anche in campagna elettorale, i programmi dei vari partiti non sembrano essere così distanti. Tutt’altro. Partiamo proprio dalla legge elettorale. Fratelli d’Italia ha sempre espresso la propria totale contrarietà al ritorno al proporzionale. Forza Italia, dal canto suo, ha sempre sostenuto che con questa elettorale la coalizione è indispensabile, aggiungendo però che lo stare insieme non sarebbe certo una condanna; al contrario, il partito di Silvio Berlusconi vuole la conferma del maggioritario, escludendo un ritorno al proporzionale. Tema condiviso da Silvio Berlusconi nei suoi incontri con il segretario della Lega Matteo Salvini, che, dal canto suo, teorizza sì una riunione del centrodestra di governo in una federazione o in una lista unica, ma senza evocare il proporzionale. Al contrario del centrosinistra, dove, a parole, si cerca di costruire l’alleanza progressista, ma solo dopo aver tentato - invano - di cercare nel perimetro dei partiti di maggioranza un accordo per cambiare la legge elettorale e tornare al proporzionale.

Il motivo è evidente. Tanto al Pd quanto al M5S conviene andare divisi alle elezioni per poi ritrovarsi dopo e mettere a Palazzo Chigi l’ennesimo premier non espressione del voto popolare. Primo, perché i sondaggi li danno perdenti: se si votasse oggi, abbiamo visto, vincerebbe il centrodestra in modo netto. Secondo, perché sui programmi le visioni dei due partiti, sebbene siano stati insieme al governo nel Conte II e lo siano ancora con Draghi, sono molto diverse e le prime crepe stanno emergendo. Qualche esempio. Il Pd che esprime il ministro della Difesa Lorenzo Guerini è a favore dell’aumento delle spese militari e dell’invio delle armi all’Ucraina. Il M5S è contrario. Sull’energia e la transizione ecologica, poi, i partiti di centro (Azione e Italia Viva) la pensano molto più come le forze di centrodestra. Quanto ai rifuti, il sindaco di Roma Roberto Gualtieri ha capito la necessità di dotare la Capitale di un termovalorizzatore per chiudere il ciclo, rompendo con i 5 Stelle in Campidoglio guidati da Virginia Raggi e con i partiti di sinistra e i movimenti della sinistra civica. Non solo: il M5S che governa con Zingaretti la Regione a cambiare il piano rifiuti non ci pensa neppure, minacciando di porre fine a un’alleanza che vede nel Lazio il suo progetto pilota, ma che fatica a prendere forma a livello nazionale e anche alle prossime elezioni amministrative. Quanto al reddito di cittadinanza, in molti nel Pd vorrebbero eliminarlo o quantomeno cambiarlo in modo profondo. E anche sulla politica economica, nelle ultime settimane non sono mancati i distinguo del M5S. E cosa dire delle accuse del Pd sull’ambiguità di Conte nello scegliere tra Macron e Le Pen? Alla faccia dell’unità progressista. E che Pd e M5S non siano in grado di governare assieme il Paese lo dice molto chiaramente Carlo Calenda.

Discorso diverso nel centrodestra. Gli incidenti a livello parlamentare non sono mancati: la rielezione di Sergio Mattarella, la legge sul presidenzialismo che vede come prima firmataria Giorgia Meloni affossata in Commissione per l’assenza di due deputati di Lega e FI. Ma in molto altre circostante, la coalizione si è mossa in maniera compatta. Qualche esempio: sulla delega fiscale i partiti del centrodestra di governo stanno facendo muro per evitare nuove tasse sulla casa, sugli affitti e sul risparmio. Una battaglia portata avanti, dall’opposizione, anche da FdI. Su spese per la difesa, aiuti all’Ucraina, atlantismo la coalizione è più che mai compatta. Così come il centrodestra è compatto sui temi etici, ad esempio sulla proposta di legge per rendere reato la maternità surrogata e l’utero in affitto. Posizioni comuni poi si riscontrano sulle liberalizzazioni, sulla tutela del made in Italy, sulla giustizia e sulle riforme. E, a proposito di programmi, dalla conferenza di FdI a Milano del prossimo fine settimana, si capirà di più sulla direzione che prenderà il partito della Meloni.

I PROBLEMI
Dove il centrodestra parte indietro rispetto alla sinistra è proprio sui temi della campagna elettorale. Se Pd e M5S potranno rivendicare gli eventuali successi del governo, non altrettanto potranno fare Lega e FI, vista la presenza in coalizione della leader dell’opposizione Giorgia Meloni. E forse non è un caso che già oggi Berlusconi e Salvini comincino pian piano a smarcarsi da Draghi, rivendicando però l’appoggio al governo in una situazione di emergenza, anche per non lasciare l’Italia in mano a Pd e 5 Stelle. C’è poi la questione della leadership, vero tema irrisolto. In teoria, la guida della coalizione tocca al partito che prenderà più voti. In pratica la lista unitaria o federazione voluta da Salvini viene vista da FdI come un modo per sbarrare alla Meloni la strada verso Palazzo Chigi. Così come FdI chiede agli alleati un patto anti-inciucio, una prova di fedeltà per evitare di ritrovarseli un domani di nuovo al governo con la sinistra. Un’esigenza sentita in modo ancora più forte dopo la rielezione di Mattarella, che a via della Scrofa giudicano un tradimento. Così come sono innegabili le difficoltà del centrodestra di trovare candidati condivisi e competitivi nei Comuni, nonostante la coalizione governi insieme la stragrande maggioranza delle Regioni. I problemi insimma non mancano. Ma c’è qualche mese di tempo per risolverli. Evitando di sprecare un vantaggio elettorale importante.

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