Mario Draghi ha perso il tocco magico: ora fa danni ogni volta che parla
Alla fine per i giornalisti Mario Draghi è una manna dal cielo. Difficile, pressoché impossibile, tornare da una delle sempre più frequenti conferenze stampa del premier senza avere un «titolo», una frase a effetto, uno slogan. E, d’altronde, l’ex capo della Bce avrà pure tutte le competenze, il carisma e l’autorevolezza del mondo. Ma, gira e rigira, nei libri di storia sarà ricordato soprattutto per una frase. Lo stentoreo «whatever it takes», tutto il necessario, che da solo bastò a fermare la tempesta speculativa sull’euro nel luglio 2012.
Leggi anche: Perché Draghi si dimette: il premier punta a chiudere la legge di Bilancio in estate e andare al voto anticipato
Il punto è che la dialettica è un’arma a doppio taglio. Soprattutto in un campo limaccioso come la politica, dove raramente quello che si dice riesce a essere convertito in fatti. Mario Draghi, all’inizio della sua avventura a Palazzo Chigi, sembrava esserne consapevole. In un’Italia reduce dalla parentesi casaliniana di Giuseppe Conte, fatta di tante parole per non dire nulla («stiamo lontani oggi per abbracciarci più forte domani»...), l’ex capo della Bce aveva promesso un altro approccio: «Prima facciamo, poi comunichiamo» aveva detto ai ministri nel primo Cdm.
Il proposito - decisamente irrealistico - è stato rapidamente accantonato. E così Draghi ha ricominciato a dispensare frasi a effetto e verità assolute in ogni incontro con i giornalisti. Ottenendo, però, sempre meno clamore. E, soprattutto, venendo clamorosamente smentito dai fatti nel giro di poche settimane.
Leggi anche: Putin finanzia la guerra grazie ai nostri soldi. Gianluigi Paragone e la verità su gas e Ucraina
L’ultimo inciampo è stato quel «volete la pace o i condizionatori accesi» che gli ha attirato critiche persino all’interno della sua maggioranza. «Un interrogativo manicheo» ha chiosato Conte. Che, d’altronde, ha il dente avvelenato. Ma persino chi è più legato al premier tra i ministri è stato costretto ad ammettere l’«eccessiva semplificazione». Anche perché chiedere sacrifici sul riscaldamento dopo aver denunciato le speculazioni sui prezzi - e potendo passare l’estate al fresco delle campagne umbre - non è sembrato il messaggio mediatico più appropriato visto il momento.
Ma già in passato Draghi si era espresso con uno stile tranchant che ha creato più problemi di quanti ne risolvesse. Tralasciando l’«Erdogan dittatore di cui abbiamo bisogno» che provocò una mezza crisi diplomatica con la Turchia, o il «nonno al servizio delle istituzioni» che, nei fatti, gli costò il Quirinale, anche nei rapporti con la sua maggioranza il premier si è dimostrato incauto. Alle perplessità di Salvini sull’obbligo vaccinale replicò lapidario: «L’appello a non vaccinarsi è l’appello a morire. Non ti vaccini, ti ammali, muori. Oppure fai morire». Al di là dell’eccessiva crudezza del messaggio, stupì la plateale messa alla berlina di un leader della maggioranza. Che, segnatamente, non aveva mai lanciato un «appello a non vaccinarsi».
Sempre nella maggioranza, anche Antonio Tajani ha sperimentato la spigolosità del premier. Il solo aver ipotizzato incarichi prestigiosi per il capo del governo alla fine dell’esperienza a Palazzo Chigi, costò al vicepresidente di Forza Italia un piccatissimo «un lavoro so trovarmelo da solo».
D’altronde Draghi è fatto così. Non ha dubbi o mezze misure, solo granitiche certezze. Come quelle sul green pass, che «garantisce di trovarsi tra persone non contagiose». Basi scientifiche dello slogan? Nessuna. E, infatti, dopo qualche mese la massima si rivelò tragicamente erronea. Al punto che qualcuno ha cominciato a interrogarsi sulle sparate del premier: verità calate dal cielo o semplici spacconate?
Leggi anche: Riforma del Csm, il centrodestra ha avuto il merito di non arretrare sui punti decisivi
Nel dubbio, gli effetti degli slogan si affievoliscono. Draghi sperava di liquidare l’opposizione del centrodestra sulla riforma del catasto con un semplice «le tasse non saranno alzate, punto». Salvini, candidamente, gli ha risposto che non ci crede. E al nuovo «whatever it takes» sugli effetti della crisi ucraina («Faremo tutto ciò che è necessario per aiutare le imprese e le famiglie»), i partiti hanno replicato in coro: «Sì, vabbè, ma lo scostamento di bilancio?».
Viene da chiedersi cosa accadrebbe oggi se Draghi si ritrovasse a dover fronteggiare nuovamente una crisi dell’euro. Forse, di fronte a una delle sue frasi a effetto, gli speculatori avrebbero meno paura. E, magari, prima di arrendersi deciderebbero di andare a vedere se si tratta di un bluff.