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Quell'euro in più che vanifica i benefici della flat tax. L'incubo fiscale e la giungla delle aliquote

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Pietro Bracco
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Questa mattina mia moglie mi chiede: «Se supero i 65.000 euro quanto pago di tasse?». Elena parla poco del mio lavoro, le tasse. Lei è un avvocato bravissima (lo so; ho lavorato con lei), che ha aperto un atelier dove insegna pilates. Mi sento, quindi, lusingato che abbia chiesto a me e non al commercialista. Poi sono preso dallo sconforto perché non posso darle una formula lineare.

Facciamo una premessa. Da qualche anno vige in Italia un regime, conosciuto come flat tax, in ragione del quale i contribuenti con ricavi fino a 65.000 euro hanno una tassazione del 15% sostitutiva di Irpef, addizionali e Irap. La base imponibile è determinata in ragione di un abbattimento forfettario dei ricavi. Non sono, quindi, ammessi in deduzione i costi sostenuti. Da ultimo, il soggetto che opta per la flat tax non applica l’Iva sui suoi compensi. 

 

Torniamo a mia moglie. Qualcosa devo pur dirle. Inizio con la teoria. «Allora, non hai più la flat tax ma ti scattano le aliquote Irpef. Prima erano 5, adesso sono 4 e cambiano al crescere reddito, che è diverso dal fatturato: 23% fino a 15.000 euro, 25% da 15 a 28.000, 35% da 28 a 50 e 43% oltre i 50 mila. E poi ci sono le addizionali comunali e regionali».

«Insomma, quanto pago? Non è possibile sapere quanto pago per ogni euro che guadagno?». «Bisogna vedere fatturato, costi, detrazioni...», balbetto io. Elena coglie che sto arrancando e chiosa con un laconico «vabbè, ho capito, pago di più. L’euro oltre i 65.000 mi fa crollare il risultato reale». E la assale un ulteriore sconforto: «Devo aggiungere anche l’Iva! E chi glielo spiega alle clienti che ci sarà un aumento del 22% di Iva? Magari faccio meno e mi carico un po’ io il costo. Quindi ci rimetto 2 volte: maggiore Irpef e parte dell’Iva a mio carico».

 

Sono affranto. E dire che non sono entrato nel discorso della riforma fiscale con paroloni tipo riduzione graduale delle «aliquote medie effettive» e delle «variazioni eccessive delle aliquote marginali effettive». E neanche nel dibattito se tenere la flat tax, di cui allo stato il disegno di legge delega della riforma fiscale non sembra parlare. E di cui si discute tra i partiti.

L’aneddoto sulla mia incapacità di spiegare a Elena la sua tassazione nasconde un importante principio guida per il legislatore in questa importante fase storica di riforma tributaria. Gli imprenditori individuali, come le PMI e le multinazionali che decidono di investire da noi, hanno bisogno di certezza. Hanno bisogno di conoscere in anticipo, c’è chi sogna per le persone fisiche attraverso un’app, come verranno tassati e sapere che le regole rimarranno ferme. Hanno bisogno di sapere che se la flat tax c’è – come in molti auspichiamo – non ha un gradino di un euro che fa schizzare la tassazione ma ha uno scivolo che gradatamente porta alle aliquote ordinarie.

E ci sarebbe molto di più, in un’ottica di fisco etico e contribuenti onesti, che non devono nascondere un euro, quell’euro. Ma questa è un’altra storia per la prossima domanda di Elena.
 

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