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La guerra grillina contro i jet F-35 americani e gli interessi economici nazionali

Riccardo Mazzoni
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Che Giuseppe Conte nella sua permanenza a Palazzo Chigi abbia aumentato le spese militari è indubitabile, in quanto si evince dai numeri delle leggi di bilancio, nonostante gli improbabili ricalcoli propagandistici dei grillini, ma nonostante questo il Movimento Cinque Stelle ha frenato, fino ai limiti del boicottaggio, lo sviluppo del programma strategico degli F-35. Basti pensare alla figuraccia dei mancati pagamenti agli Stati Uniti di alcune commesse, ai tempi del governo gialloverde, dossier che fu uno dei tanti motivi di contrasto con la Lega. Eppure già allora era chiaro che per l'Italia si trattava di un programma cruciale, il cui sviluppo aveva l'obiettivo di produrre un sistema d'arma da combattimento di nuova generazione, economicamente sostenibile e in grado di sostituire i velivoli AV-8B Harrier della Marina, gli AMX e i Tornado dell'Aeronautica, operazione indispensabile per mantenere i livelli della nostra Difesa all'altezza degli impegni assunti in sede Nato. Un programma che, peraltro, prevedeva importanti ricadute sull'industria italiana, in termini di trasferimento di tecnologie, con la realizzazione strategica a Novara di una linea di assemblaggio finale, manutenzione e aggiornamento, che era e resta l'unica al di fuori degli Stati Uniti.

 

 

Nulla di sorprendente però, visto che i Cinque Stelle nella passata legislatura aderirono alla campagna «Taglia le ali alle armi» lanciata dall'armata pacifista proprio contro gli F-35. Un'ostilità che, con ottusa e pervicace coerenza, è proseguita anche quando il Movimento è diventato forza di governo: ai tempi del Covid, infatti, cinquanta senatori grillini presentarono un'interrogazione al ministro Guerini chiedendo una moratoria di un anno sul «programma di acquisto per i cacciabombardieri di quinta generazione F-35», allo scopo di dirottare quelle risorse finanziarie - circa un miliardo di euro - alla Sanità militare. L'obiettivo finale era però il ridimensionamento complessivo del programma, il cui sviluppo, a onor del vero, era già stato tagliato da Monti, con la riduzione da 131 a 90 velivoli, e poi messo seriamente in discussione anche dai governi guidati dal Pd, tanto che la stessa ministra della Difesa Pinotti aveva proposto una vera e propria moratoria, evidenziando «le tante criticità che segnano questo programma e che spingono nella direzione di un significativo ridimensionamento degli schemi di accordo con la Lockheed Martin sugli F-35».

 

 

Ora la guerra in Ucraina ha totalmente cambiato lo scenario, rilanciando la centralità delle spese militari nell'ottica di una sicurezza nazionale mai come ora da rafforzare di fronte alla comparsa di minacce esterne finora imprevedibili, e i pronunciamenti di Conte altro non sono che la conferma della inguaribile ambiguità del Movimento di lotta e di governo, ma è proprio il programma F-35 la dimostrazione di quanto sia sbagliato ritenere le risorse destinate alla Difesa una distrazione di fondi dalle reali necessità economiche e sociali del Paese, trattandosi invece di un moltiplicatore anche in termini di occupazione e di valore per la nostra industria. Non a caso gli esperti militari sono unanimi nel definire gli F-35 come uno strumento insostituibile per modernizzare le capacità della nostra Aeronautica nella delicata fase di transizione dai vecchi Tornado. Non solo: se l'Ucraina li avesse in dotazione - lo ha ben spiegato al Foglio il generale Tricarico - avrebbe già vinto la guerra nei cieli con l'aviazione russa, perché gli F-35 agiscono «come fantasmi invisibili che colpiscono al buio e hanno capacità sconfinate». C'è bisogno di altro per dire che quella contro gli F-35 è solo uno dei tanti danni collaterali causati dai Cinque Stelle all'interesse nazionale?

 

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