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Il decreto sulla benzina è una falsa partenza per il governo. Si rischiano ripercussioni sociali

Riccardo Mazzoni
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Non dobbiamo aver paura di chiamare le cose col loro nome: dobbiamo prepararci a un’economia di guerra che richiede misure straordinarie. Le sanzioni contro la Russia ci costeranno tre miliardi e mezzo, la crescita rischia di tornare sotto l’un per cento mentre l’inflazione in Europa vola al massimo livello degli ultimi venti anni, con un trend in crescita a causa della corsa senza freni dei prezzi dell’energia, degli alimentari e di tutte le materie prime. Il mix tra spesa, bollette e benzina rischia di provocare pesanti ripercussioni sociali. Senza una moratoria dei mutui per tutto il 2022, migliaia di imprenditori rischiano il fallimento, e molti si sono già trovati di fronte al drammatico bivio se pagare gli stipendi ai dipendenti o pagare i mutui. Non solo: secondo il Censis sono a rischio chiusura 184.000 aziende, e Confindustria ha lanciato l’allarme sui blocchi di produzione già avvenuti nelle acciaierie, nella ceramica e nelle cartiere. Sullo sfondo c’è uno scenario macroeconomico da stagflazione, fatto di aumenti dei prezzi senza crescita dell’economia. Basta questo quadro sommario per dire che dopo la pandemia sull’Italia si sta addensando un’altra tempesta perfetta, che il governo ha il dovere di scongiurare whatever it takes.

 

 

Invece il pacchetto di misure varato ieri sera è stato a tutti gli effetti una falsa partenza: ridurre le accise sui carburanti di poco più di dieci centesimi per un solo mese, come si leggeva nella prima bozza, coprendo il costo con l’extra-gettito Iva, ha rappresentato infatti un’autentica beffa, dopo che i prezzi dei carburanti sono aumentati del 50 per cento in pochi mesi, così come rateizzare le bollette di gas e luce è poco più di un pannicello caldo per i bilanci di famiglie e imprese. Draghi vuol attendere il vertice europeo di fine mese prima di prendere in esame un nuovo scostamento di bilancio - che invece è assolutamente urgente e inevitabile - e si sta muovendo nella giusta direzione per arrivare a un tetto comunitario al prezzo del gas, ma in un'emergenza di queste dimensioni di tempo il governo ne ha già perso troppo, e non è ammissibile che lo Stato continui a lucrare extragettiti miliardari su benzina e gasolio e cavarsela con un’elemosina di un pugno di centesimi. Le imposte indirette sui carburanti vanno tagliate una volta per tutte, perché sono un’anomalia che non ha eguali in Europa. Come va stroncata la truffa denunciata dal ministro Cingolani: il decreto prevede che Mister Prezzi possa chiedere conto degli aumenti ingiustificati, ma le multe da 500 a 5000 euro non paiono certo un deterrente adeguato per fermare la speculazione.

 

 

Nel decreto anti-rincari, comunque, c’è almeno una buona notizia: l’incremento di venti milioni di euro del fondo per la riduzione dei pedaggi agli autotrasportatori, una boccata d’ossigeno che dovrebbe scongiurare il blocco di un settore cruciale. Fra gli altri provvedimenti, il rafforzamento del golden power nei settori strategici come le reti 5G e la tecnologia cloud va considerato un atto dovuto dopo le sbandate filocinesi e in mezzo a questa bufera geopolitica. L’auspicio è che il pacchetto di ieri sia solo un provvedimento-tampone: per raggiungere sovranità energetica e sovranità alimentare, due sfide divenute imprescindibili con la guerra, serve infatti una strategia complessiva che ancora non si intravede: vanno rimesse in funzione subito le trivelle inutilizzate per usare il nostro gas e prorogate le concessioni sull'idroelettrico favorendo gli investimenti e lasciandolo italiano. E sull'alimentare va archiviato l’ambientalismo pervasivo rinviando la nuova Pac, perché oggi serve disperatamente aumentare le superfici coltivabili. Ci aspettano prove epocali, che non si affrontano certo col braccino mostrato ieri dal governo.

 

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