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Che follia la Cgil. Il sindacato chiede di bloccare le armi all'Ucraina

Fabrizio Cicchitto
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La ricostruzione dei fatti è incontestabile. Putin ha schierato un esercito di circa 150 mila soldati, con tanto di carri armati, di cannoni e il sostegno dell’aviazione, ha respinto ogni trattativa e il 23 febbraio ha scatenato l’attacco. L’attacco militare è rivolto contro una nazione con 40 milioni di abitanti, con il presidente Zelensky che è stato eletto con il 70% dei voti. Precedentemente grandi manifestazioni popolari avevano cacciato Yanukovich, colui che in Ucraina era il corrispettivo di Lukashenko in Bielorussia, un fantoccio agli ordini di Putin.

 

Quello che Putin non perdona agli ucraini non è tanto un’adesione alla NATO, che non è mai arrivata all’ordine del giorno (Putin non ha detto nulla quando nel 1999 la Polonia ha aderito alla NATO e altrettanto hanno fatto gli Stati Baltici nel 2004), quanto questo intreccio di democrazia parlamentare e di democrazia diretta che potrebbe contagiare la Russia, come dimostrano le manifestazioni in corso. Ebbene, di fronte a questa aggressione gli aggrediti si stanno difendendo e hanno chiesto anche l’invio di armi a loro sostegno. Putin aveva previsto che l’esercito ucraino si sarebbe liquefatto o non si sarebbe battuto (l’occupazione della Crimea avvenne senza resistenza) e invece ha sbagliato. Ebbene, in un contesto di questo tipo, è avvenuto in Italia un fatto incredibile: un pezzo della sinistra guidato dalla CGIL di Landini a nome del pacifismo ha contestato la possibilità di inviare armi a sostegno dell’Ucraina che resiste. “Servirebbero a prolungare l’agonia. Invece è indispensabile la trattativa”. Questa bizzarra argomentazione trascura due dati: per fare la trattativa bisogna essere in due e finora Putin l’ha categoricamente rifiutata. Nella sostanza questa posizione si risolve nella richiesta agli ucraini di arrendersi senza condizioni. Si tratta di un obiettivo sostegno alla linea di Putin che è in grave imbarazzo di fronte ad una resistenza che non si aspettava: adesso egli vorrebbe che la resistenza ucraina veniva smontato prima di dover investire con un attacco frontale le grandi città. In secondo luogo la posizione di Landini e compagni è in totale rottura con la storia non solo del movimento operaio, ma della democrazia italiana.

 

Con una posizione di quel tipo non ci sarebbe stata la resistenza nel ’43-’45, un movimento – ciò non va mai dimenticato – che andò dai monarchici, ai liberali, ai democristiani, ai socialisti, ai comunisti: forse allora il gen. Montezemolo e Bruno Buozzi avrebbero salvato la vita, ma non ci sarebbe stata una lotta che segnò, con tutte le sue contraddizioni, la nascita di una nuova Italia. Fortunatamente Sergio Cofferati, già segretario della CGIL, ha marcato il suo netto dissenso da queste posizioni aberranti, ma non si può fare a meno di rilevare che in Italia c’è un pacifismo collaborazionista con Putin.

 

Evidentemente la forza evocativa della Russia ha tuttora uno straordinario fascino. Pensiamo a quello che sarebbe accaduto se ad aggredire fossero stati gli Stati Uniti: in quel caso il pacifismo si sarebbe mobilitato per uno scontro frontale. Solo che talora «il mito» fa dei brutti scherzi. I nostri pacifisti sorvolano anche sul regime che caratterizza la Russia di Putin: gli oppositori più pericolosi vengono assassinati, mentre proprio in questi giorni migliaia di persone vengono arrestate. Ma su tutto ciò Landini preferisce sorvolare, in nome di una trattativa che finora è stata rifiutata da Putin, ma non da Zelensky che l’ha ripetutamente richiesta.
 

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