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Gli affari con Putin li faceva Letta. Da premier firmò 28 accordi con la Russia

Francesco Storace
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Gli affari sono affari anche quando governa Enrico Letta. E poco importa se dall’altra parte a dare il suo assenso c’è Vladimir Putin. In quel caso non è un assassino. O un «animale», come lo definisce ora il diplomaticissimo ministro degli esteri della Repubblica Italiana, Luigi Di Maio.

Riavvolgiamo il nastro a quasi dieci anni fa. Era il 26 novembre del 2013 e a Trieste faceva un freddo cane. E Putin si faceva pure attendere. Ma in quella mattinata gelida Enrico Letta non si fece scrupolo di benedire, proprio di fronte al suo interlocutore russo, la bellezza di 28 accordi nel nome dei due paesi. Se fosse stato un film si sarebbe potuto intitolare tutto in una notte. Ma era mattina.

 

Non era solo Letta, perché si trattò di un vero e proprio vertice intergovernativo Italia-Russia, descritto come un’occasione di rilancio dei rapporti bilaterali su tanti fronti: ai colloqui partecipavano le squadre dei due governi quasi al completo. Parallelamente, quel giorno si riunivano, nella piazza accanto, gli imprenditori che già all’epoca animavano la cooperazione Italia-Russia. Non si parlava certo di sanzioni.

 

Il Business Forum promosso dal Foro di dialogo italo-russo e organizzato dall’Ispi fu la culla, in quel novembre 2013, di numerosi accordi firmati con la benedizione di Putin e Letta. Equamente distribuiti in tre "cluster", finanza, energia e industria: ne furono protagonisti Poste italiane e Selex insieme a Poste russe, Mediobanca con Vnesheconombank, Ubi Banca con Transcapital Bank, Sace, il Fondo strategico italiano della Cassa depositi e prestiti. I grandi gruppi dell’energia, Eni ed Enel, Prysmian nel settore dei cavi per la distribuzione di energia, Fincantieri, Cremonini, Pirelli. L'istituto italiano di tecnologia con Skolkovo, la grande promessa dell’innovazione russa. Letta ovviamente se ne vantò con grande enfasi, snocciolando la firma dei 28 accordi: «Abbiamo molti impegni da implementare – ricorda il nostro archivio -  gli accordi devono diventare fatti concreti». Accordi che è difficile sintetizzare in grandi cifre – si preoccupò di specificare - ma che avevano in comune la ricerca di una via di uscita dalla crisi nella conferma della presenza italiana in un Paese difficile e promettente come la Russia.

 

A rileggere oggi il taccuino di allora non sembra vero. Si parlava di un sostegno all’export che, secondo le previsioni di Sace, in Russia poteva crescere del 10,5% nei quattro anni successivi, arrivando dagli 11 miliardi del 2013 ai 16 miliardi del 2017. Tra le intese più promettenti c’erano quelle dell’Eni, che sottoscrisse due accordi con Rosneft, uno con Novatek e un accordo con il centro per l'innovazione di Skolkovo. Anche all’Enel toccò siglare un'intesa con Rosneft.

Tra gli accordi finanziari, quello di Poste italiane con le Poste russe e Selex e quello del Fondo strategico italiano con il Russian direct investment Fund. Mediobanca e Sace firmarono l'intesa con Veb. Quanto agli accordi industriali, Fincantieri raggiunse l’accordo con il centro navale di ricerca Krylov, Pirelli con Rosneft e Rostek. Tra le intese più interessanti, anche quella ce riguardò UniCredit, con l’obiettivo di portare 500 aziende italiane a investire in Russia.

Però fu l’energia il dossier principale dei colloqui tra Letta e Putin. Chissà se il segretario del Pd, a quasi dieci anni di distanza ne conserva ancora buona memoria. Le bollette che esplodono oggi, magari sono figlie anche di quel tempo.
 

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