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Governo, Draghi sul catasto si salva di nuovo all'ultimo voto: premier appeso ai peones

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I «tengofamiglia», gli onorevoli terrorizzati dalle elezioni anticipate, gli stessi che per questo motivo gli hanno negato il Quirinale, stavolta hanno salvato Mario Draghi. O, meglio, hanno permesso alla contestatissima riforma del catasto di fare un altro piccolo passo in avanti verso una difficile approvazione. È lo scenario manifestatosi ieri in commissione Finanze, dove la delega fiscale era attesa da un altro voto cruciale dopo quello su cui si era rischiato il patatrac la settimana scorsa.

Sempre sull'articolo 6, quello che contiene la controversa revisione degli estimi. A scuotere la giornata è stata la decisione di Forza Italia di affiancare Lega e Fratelli d'Italia sull'opposizione alla riforma. A differenza di quanto fatto trapelare lunedì sera (astensione o assenza) il gruppo degli azzurri ha deciso di alzare le barricate: «Il governo favorisca una mediazione o voteremo sì all'emendamento che cancella il comma 2 dell'articolo (quello che affianca il valore patrimoniale alla rendita catastale, ndr)».

Da Palazzo Chigi, però, il mantra è rimasto lo stesso: la riforma non si tocca. Anche perché, è stato ribadito, Draghi ha chiarito una volta di più che le tasse non aumenteranno. Il tempo guadagnato grazie al rinvio della seduta in serata (i deputati azzurri hanno chiesto di presenziare ai funerali dell'ex ministro Antonio Martino) non è bastato per arrivare a una schiarita. E così è entrato in scena il pallottoliere. Con un «giallo»: il posto che era stato preso nella scorsa seduta da Manfred Schullian (deputato del Misto che ha votato con la maggioranza) ieri è tornato appannaggio dell'ex grillina Nadia Aprile, tra i firmatari dell'emendamento di Alternativa che avrebbe sabotato la riforma.

A quel punto i numeri sarebbero stati contro il governo, ma la stessa Aprile avrebbe poi ritirato in extremis la firma dall'emendamento. Un gesto, il suo, che accanto al «no» alle modifiche di Colucci di Noi con l'Italia ha salvato l'esecutivo per un solo voto, 23 contrari contro 22 favorevoli. Ma le spine non sono finite, perché nella notte erano previsti ancora altri voti. Di fatto, la tensione resta alta e l'impressione è che prima o poi qualche trabocchetto potrebbe andare a segno. Per un fronte che resta caldo, ce n'è un altro su cui si è trovata una faticosa tregua.

La commissione Lavori pubblici del Senato ha infatti terminato l'esame del ddl delega sui lavori pubblici, che contiene la riforma degli appalti. È stato votato il mandato al relatore per l'Aula e licenziato il testo. Dopo un lungo braccio di ferro tra maggioranza e governo decisiva è stata la mediazione che si è conclusa con l'intesa raggiunta su cinque modifiche al testo, chieste dalla maggioranza e riformulate dall'esecutivo, con soddisfazione espressa da Lega, Pd e Movimento 5 stelle.

Ma c'è un altro nodo in vista: domani scadrà il termine per la presentazione dei subemendamenti alla riforma del Csm. Prevedibile uno scontro sulle «porte girevoli» tra politica e magistratura e sul sistema di elezione dell'organo. Draghi ha dato mano libera al Parlamento, ma pretende che si rispettino tempi stretti. Un'utopia. 

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