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Una crisi senza fine: la guerra mette in ginocchio l'economia italiana. Mario Draghi ha paura

Filippo Caleri
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Ora il mondo occidentale inizia a tremare. La guerra non è conclusa e anzi procede con una violenza inaudita. Le trattative languono e la spinta arrivata dall'aumento dei prezzi sulla struttura produttiva comincia a far paura. Sia ai cittadini, che dormono sonni inquieti aspettando la nuova bolletta di luce e gas (quelle di fine anno hanno già subito rincari pesanti), ma anche al governo. Che inizia a temere che i contraccolpi sull'economia dell'escalation militare si trasformino invariabili incontrollabili. Timori concreti che creano incertezza anche nell'esecutivo e che hanno spinto ieri il ministro dello Sviluppo Economico, Giancarlo Giorgetti, a firmare il decreto per l'istituzione di una unità di crisi interna, operativa già da lunedì, per monitorare e valutare i contraccolpi del conflitto sulle filiere e sui prezzi delle materie prime. Già la prossima settimana il ministro leghista presiederà il primo tavolo dove saranno chiamati i rappresentanti di settore coinvolti e dei ministeri interessati per fare il punto sulle urgenze da affrontare nel più breve tempo possibile. Non è difficile immaginare chi chiederà di essere ascoltato. I prezzi dell'energia, gas e petrolio, sono di fatto fuori controllo.

 

 

Le pressioni arriveranno dal settore dell'autotrasporto che, come già riportato da Il Tempo nei giorni scorsi, è in fibrillazione per i costi del carburante alle stelle che annullano i margini di guadagno dei trasportatori. Ci saranno anche i produttori alimentari che usano grano, mais e cereali in generale: materie agricole che stanno subendo rincari a doppia cifra. E ancora i ristoratori che hanno già lanciato l'allarme, anche dalla colonne di questo giornale, sulla pressione sui listini del caro energia e degli alimenti. A seguire saranno un po' tutte le categorie a presentarsi per ottenere aiuto e sostegno. Anche le aziende edili, che nonostante stiano macinando fatturati record per l'effetto delle misure di incentivo come il superbonus 110%, iniziano a vedere concreto il pericolo di erosione dei profitti per il caro materiali. Un effetto generato non solo dall'inflazione generata dai blocchi della produzione durante il lockdown ma anche dalla componente aggiunta dal conflitto, la cui portata rischia di far deragliare l'economia mondiale. E mette a rischio, in parte, lo stesso stile di vita occidentale. il pericolo, ancora dietro l'angolo, ma ben presente, è il ripetersi di un evento giù vissuto negli anni '70.

 

 

Ha un nome economico quasi incomprensibile: stagflazione. E cioè un ciclo economico con un andamento del Prodotto interno lordo stagnante, o anche in calo, e l'inflazione che corre non tanto per il surriscaldamento indotto dai consumi ma solo a causa del rialzo dei prezzi delle materie prime. Una combinazione perfetta e letale che impoverisce i ceti medi, quelli che vivono di stipendi fissi che non seguono immediatamente la dinamica dei prezzi, considerato che il meccanismo di rivalutazione automatica, volgarmente chiamata scala mobile, è un'esperienza irripetibile per la maggioranza degli economisti. Conclusione: c'è un rischio, minimo, ma comunque crescente con la durata del conflitto, che il benessere a cui si è abituati si possa ridurre. Insomma non solo stop allo shopping a Milano e le feste a Saint Tropez per gli oligarchi, come twittato da Josep Borrell all'indomani dell'attacco in Ucraina. Ma anche addio a ristorante, palestre, padel, filetto, vino di marca e maglione di cachemire per molti.

 

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