Hoara Borselli fa secco Giuliano Amato: che caduta di stile nel delegittimare in tv i referendum
Calamandrei diceva: «Quando per la porta della magistratura entra la politica, la giustizia esce dalla finestra». E quando il Presidente della Corte Costituzionale, Giuliano Amato, si presenta in un talk televisivo ad esprimere posizioni politiche, dalla finestra esce tutta la credibilità di un organo da cui dovremmo sentirci garantiti. È accaduto martedi 22 Febbraio intorno alle 22,30 durante la trasmissione condotta da Giovanni Floris, su La7, «Di Martedì». A tutto schermo, in collegamento, invece del solito virologo di ordinanza, è apparso Giuliano Amato, colui che, per chilo avesse dimenticato, ha ricoperto le cariche di sottosegretario del consiglio dei ministri (nei governi Craxi I e Craxi II, 1983-1987), vicepresidente del Consiglio (1987-1988) e Ministro del tesoro (1987-1989). Poi Presidente del Consiglio nel 1992-1993. E di nuovo presidente del Consiglio dal 2000 al 2001. Salì a Palazzo Chigi, la prima volta, indicato da Craxi proprio nei giorni in cui esplodeva «Mani pulite», ma quando la magistratura si accanì sul segretario del PSI, Amato non mosse un dito. Certo, in politica regna il cinismo, ma qui siamo oltre.
Amato bacchetta i promotori del referendum: ”Non rappresentano tutto il popolo”
Tra gli appunti inediti di Bettino Craxi, datati 1999, conservati presso la Fondazione Craxi, Giuliano Amato, l'ex delfino che negli ultimi 20 anni quasi ogni volta è stato in pole per finire al Quirinale, senza successo (anche questa volta), veniva così descritto: «Amato è un genio elettronico di opportunismo. A differenza di altri della sua generazione che sono sempre rimasti più o meno al loro posto senza girovagare per i labirinti politici, Amato se ne andò un bel giorno dal Psi per finire nel Psiup. Scomparso il Psiup Amato tornò con altri nel Psi». Dipinto come un «voltagabbana per interesse». Oggi che è accesissimo il dibattito sulla necessità di combattere la commistione fra potere esecutivo e giudiziario, quel vulnus che condiziona da decenni la scena politica italiana, il Presidente della Corte Costituzionale ha sentito impellente la necessità di essere intervistato in diretta per spiegare che «la sovranità appartiene al popolo ma siamo 60 milioni di cittadini italiani, quindi i promotori di un referendum, anche se possono arrivare a rappresentare una parte elevata, non rappresentano il popolo. La costituzione stabilisce dei limiti sui quesiti che è bene, giusto e corretto sottoporre ai cittadini». Ha di fatto affrontato un tema fortemente politico, cioè i referendum sulla Giustizia, cercando di depotenziare il valore di una battaglia che rappresenta un traguardo molto importante raggiunto dal leader della Lega Matteo Salvini, promotore insieme ai radicali, dei 5 referendum ammessi dalla Consulta. Cinque, non sei. Perché la Corte, guidata da Amato, ha tagliato il referendum sulla responsabilità diretta dei magistrati. Probabilmente il più importante e il più popolare. Cioè ha confermato il principio che i magistrati sono sacri, intoccabili e impunibili. Sono esseri superiori ai cittadini e sono al di sopra della legge.
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Perché la Corte, guidata da Amato, ha voluto sancire questo principio medievale? Forse perché anche la Corte subisce la capacità di pressione dell'Anm e delle Procure. Amato sa di avere preso una decisione dovuta solo a subalternità, e non ai principi e al diritto, e ha sentito l'obbligo di prendere la parola per difendersi. Così ha mandato all'aria il teorema di Calamandrei. E ha smesso di svolgere il ruolo di arbitro. Per timore. Del resto tutto puoi pretendere da Amato, professore colto e saggio, ma non puoi pretendere da lui il cuor di leone. Provate a chiedergli: Presidente, qual è la battaglia politica più importante della sua vita? Vi risponderà: amico mio, io nella mia vita sono stato sempre col potere. Sempre. Il potere comanda, mica combatte... Perché ho ritenuto fuori luogo l'apparizione a tutto schermo di Amato? Forse perché il Presidente della Corte dovrebbe garantire la sacralità della legge e della Costituzione, non certo esprimere opinioni, per di più divisive, in televisione.
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