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Covid, la sinistra non molla l'emergenza virus: "Terrorizzati dalla fine della pandemia"

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Hoara Borselli
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Era il 20 febbraio del 2020, quando a Codogno, nel lodigiano, grazie all'intuizione di una dottoressa anestesista fu scoperto il «Paziente1», il 38enne Mattia Maestri, primo, non solo in Italia ma anche in Europa, ad avere il Coronavirus. Ancora veniva chiamato così, per trasformarsi presto nell'acronimo Covid-19 che da due anni a questa parte è diventato protagonista assoluto della nostre vite condizionandone le libertà fondamentali. Se da un lato oggi guardiamo a un mondo non lontano da noi che cerca in tutti i modi di liberarsi dalla morsa pandemica, l'Italia, a distanza di 24 mesi, non vuole privarsi di uno stato d'emergenza cui sembra essere affezionata.

Perché? L'emergenza è sempre piaciuta al potere politico. È il suo scettro. Il suo scudo. Ogni giorno viene stilata una «road map»del Governo per uscire dal Covid, prospettando una volontà illusoria, puntualmente smentita. Nel 1943 Winston Churchill aveva dichiarato che per spingere alla resa l'Italia («asino italiano») bisognava agire su entrambe le estremità, con una carota e con un bastone, coniando una metafora che si addice perfettamente all'atteggiamento utilizzato dal governo verso gli «asini italiani».

Mussolini reagì confidando nelle sue straordinarie doti retoriche. Ma Churchill tirò dritto. Bombardamenti, sbarco in Sicilia e a Salerno, poi cioccolata tirata dai carri armati quando gli inglesi entravano nelle città. Non solo cioccolata, per la verità, anche tanti soldi concessi al governo di Badoglio. Ecco qui l'idea del governo Draghi e del suo ministro Speranza, il quale vede la fine dell'emergenza come una tragedia, perché sarebbe la fine del suo regno. L'alternanza di metodi di persuasione: maniere forti, con minacce e punizioni, e maniere dolci, con lusinghe e premi.

Partiamo da alcune lusinghe e succulenti premi di cui gioire: per la felicità dei tifosi, gli stadi sono tornati al 75% della loro capienza. Dal 10 marzo si potrà tornare a visitare i parenti in Ospedale, con Green pass in tasca e cronometro alla mano: 45 minuti. Udite udite!!! Dal 10 marzo potremmo tornare a mangiare popcorn nei cinema e visto che siamo stati bravi ci sarà concesso pure di abbeverarci durante il fine primo tempo di uno spettacolo teatrale.

Dal primo aprile sembra non sia più necessario mostrare il super green pass nei bar e ristoranti con consumazione all'aperto mentre al chiuso si ipotizza a giugno. Forse sarà valutata la possibilità di far salire sui mezzi pubblici i ragazzi sopra i 12 anni di età senza l'obbligo di esibire il certificato verde. Verso la fine di aprile si prevede di non dover più esibire il lasciapassare per acquistare un bene non di prima necessità nei negozi. Palestre e piscine? Aspettino Godot. La carota è servita. Passiamo al bastone. Ecco cosa ha dichiarato lo stesso Ministro in un'intervista rilasciata a Repubblica: «Il Covid non sparisce il 31 marzo, strumenti come il Green Pass e le protezioni individuali vanno conservati».

Il sottotesto è lapalissiano: non illudetevi: io vado avanti. Ha poi proseguito così: «Ho voglia anch' io di mettermi alle spalle questa stagione, come dice Draghi. Siamo dentro un percorso e dobbiamo continuarlo».

A quale percorso allude Speranza? A quello che piace tanto alla sinistra chiusurista? Ricordiamo cosa scrisse nel suo libro mai uscito «Perché guariremo»: «Sono convinto che abbiamo un'opportunità unica per radicare una nuova idea della sinistra». Alla domanda «Ma quando riavremo il mondo di prima?», ecco la risposta del Ministro: «Questo è l'anno cruciale per capire se torneremo a una vita pienamente normale». Con queste premesse, e l'annuncio della quarta dose di vaccino per i fragili, gli immunodepressi e tutti noi sicuramente a seguire, una certezza l'abbiamo raggiunta: finché ci sarà Speranza non ci sarà mai speranza di normalità. 

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