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Referendum, ora la decisione sulla Giustizia passa nelle mani del popolo
Sulla giustizia si dovrà decidere davvero in nome del popolo italiano. Che si pronuncerà tra aprile e giugno sui referendum promossi dalla Lega di Salvini e dai radicali. All’appuntamento con la Corte Costituzionale per l’ammissibilità dei quesiti ne è saltato uno solo, perché considerato troppo innovativo, quello sulla responsabilità civile dei giudici. Questo non ha superato l’esame come quelli sulla cannabis e sull’eutanasia perché scritti malissimo.
Ma ben cinque referendum sulla giustizia prendono la strada delle urne e proprio Salvini esulta: “È una bella giornata per la democrazia, l’Italia e gli italiani. Mi dispiace che siano stati negati altri referendum, perché il referendum per me è sempre una prova di democrazia, però... Diciamo che noi quello che abbiamo fatto, l’abbiamo fatto bene. Festeggiamo quello che in 30 anni il centrodestra non è riuscito a fare”.
E in effetti la Lega e i radicali ci hanno creduto, fin dal deposito dei referendum davanti alla Corte di Cassazione. Un percorso lungo, fatto di milioni di firme popolari raccolte in tutta Italia e anche con il via libera di nove consigli regionali all’effettuazione della consultazione, con il voto favorevole delle varie assemblee (ne sarebbero bastati cinque).
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Si voterà sulla legge Severino e sugli abusi in tema di custodia cautelare (ogni anno in Italia vengono arrestate mille persone che poi risultano innocenti); sulla decisiva separazione delle carriere in magistratura e le modalità di voto in seno al Csm; e sulle modalità di valutazione dei magistrati.
Ovviamente occorrerà una mobilitazione fortissima dei cittadini, con una vasta campagna informativa sui referendum. Già ieri, da sinistra, si tendeva a sminuire la possibilità di raggiungere il quorum in assenza dei quesiti su eutanasia e droga: una balla, perché quando è partita la campagna sulla giustizia quei referendum non erano all’orizzonte.
È chiaro che molto dipenderà dai partiti e c’è da dire che nello schieramento di centrodestra la convinzione di fare questa battaglia è davvero diffusa. Certo, c’è qualche resistenza da parte di Fratelli d’Italia su due quesiti – legge Severino e custodia cautelare – ma chissà che non possa prevalere la volontà di vincere unitariamente la consultazione.
Lo stesso Salvini ha evitato di alzare i toni con il partito della Meloni. “Mi aspetto i ’no’ dei 5 stelle e della sinistra. Ma su questo un centrodestra garantista può nascere”. Nel dettaglio ecco che cosa prevedono i quesiti che hanno superato il vaglio della Consulta.
Riforma del Csm. In caso di vittoria del sì, verrebbe abrogato l’obbligo, per un magistrato che voglia essere eletto a Palazzo dei Marescialli, di trovare da 25 a 50 firme per presentare la candidatura. Con il sì, scrivono i promotori, “avremmo votazioni che mettono al centro il magistrato e le sue qualità personali e professionali, non gli interessi delle correnti o il loro orientamento politico”.
Separazione delle carriere dei magistrati. In caso di vittoria del sì, il magistrato dovrà scegliere all’inizio della carriera la funzione giudicante o requirente, per poi mantenere quel ruolo durante tutta la vita professionale. Secondo i promotori, la “contiguità” tra giudice e pubblico ministero, “crea uno spirito corporativo tra le due figure e compromette un sano e fisiologico antagonismo tra poteri, vero presidio di efficienza e di equilibrio del sistema democratico”.
Limiti custodia cautelare. Con una vittoria del sì, scrivono i promotori, “resterebbe in vigore la carcerazione preventiva per chi commette reati più gravi e si abolirebbe la possibilità di procedere alla privazione della libertà in ragione di una possibile ’reiterazione del medesimo reato’”. La carcerazione prima della condanna definitiva, viene applicata in Italia, in via cautelare, quando sussista per l’indagato il pericolo di fuga, inquinamento delle prove o reiterazione del reato.
Abolizione del decreto Severino. La legge, del 2012, prende il nome dell’allora ministra della Giustizia, Paola Severino (Governo Monti) e prevede l’incandidabilità, ineleggibilità e decadenza per i parlamentari, per i rappresentanti di governo, per i consiglieri regionali, per i sindaci e per gli amministratori locali in caso di condanna. Con il sì “viene abrogato il decreto e si cancella così l’automatismo - scrivono i promotori - si restituisce ai giudici la facoltà di decidere, di volta in volta, se, in caso di condanna, occorra applicare o meno anche l’interdizione dai pubblici uffici”.
Il quinto quesito ammesso è quello sui Consigli giudiziari. Si chiede di riconoscere, anche ai membri ’laici’ dei Consigli giudiziari, avvocati e professori, di partecipare attivamente alla valutazione dell’operato dei magistrati.