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Mario Draghi fa lo scaricabarile e lascia tutte le grane al Parlamento. E i partiti litigano

Daniele Di Mario
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La luna di miele tra Mario Draghi e i partiti della sua maggioranza è destinata a terminare con la fine dello stato d'emergenza. Il governo d'unità nazionale, nato per portare l'Italia fuori dalla pandemia Covid, realizzare il Pnrr e far ripartire l'economia, è entrato in panne. E le prime crepe si vedono. Lo stato d'emergenza terminerà il 31 marzo e molto probabilmente non verrà prorogato. E i partiti già delineano posizioni molto diverse tra chi vuole allentare le restrizioni (a partire dal green pass rafforzato) e chi no. E se su economia e Pnrr nessuno pianta grande al premier, è sugli altri problemi del Paese che Palazzo Chigi sembra essersi rassegnato alla litigiosità dei partiti di maggioranza, scaricando i temi sul Parlamento. Che se la vedano loro, insomma. A Draghi basta l'unanimità in Cdm. Già l'unanimità. Tutti hanno approvato la riforma Cartabia sul Csm, così come quella sulle concessioni balneari, che andranno a gara a partire dal primo gennaio. Peccato però che un minuto dopo ciascuno abbia posto distinguo. «Bene il provvedimento del governo, ma...». E dietro quel «ma» c'è tutto.

 

 

Prendiamo ad esempio la giustizia. Sulla riforma del Csm-passata in Consiglio dei ministri ovviamente all'unanimità - Forza Italia subito dopo ha chiarito che in Parlamento si batterà per emendarla. L'obiettivo è cambiare il sistema elettorale dei membri togati del Consiglio superiore della magistratura, perché così com'è «non va bene, lo correggeremo in Parlamento -ha chiarito il vicepresidente di FI Antonio Tajani -. La nostra proposta è come il sistema usato per eleggere il Doge a Venezia: si sorteggiano alcuni magistrati, poi si scelgono tra questi. Cartabia ha detto che si rimette al Parlamento». E anche la Lega ha votato una riforma da cui non si ritiene soddisfatta. «È solo un punto di partenza - spiega Giulia Bongiorno -. Il testo dovrà essere migliorato in Parlamento, così come assicurato dal premier, ma un cambiamento radicale sarà possibile solo grazie ai referendum». Ma il «sorteggio temperato» viene bocciato dal Pd. Se la vedranno in Parlamento. Appunto.

 

 

E alle Camere è demandata anche la riforma delle concessioni balneari, anch'essa approvata all'unanimità in Cdm. Il testo prevede che le spiagge andranno a gara dal primo gennaio 2024. La norma sarà contenuta in un emendamento al Ddl Concorrenza e in una legge delega che imporrà al governo di varare entro sei mesi i decreti legislativi di attuazione. Ma un minuto dopo l'approvazione in Consiglio dei ministri, il sottosegretario leghista Gian Marco Centinaio ha precisato: «Il testo è migliorato rispetto alla proposta iniziale, grazie all'accoglimento di alcune nostre proposte. Ora siamo già al lavoro, anche con le associazioni del settore, per cambiare e migliorare il testo in Parlamento. L'auspicio è farlo insieme al resto del centrodestra: è prioritario tutelare lavoro, investimenti e sacrifici di imprenditori e lavoratori balneari». E il segretario del Carroccio Matteo Salvini non ha perso tempo: già ieri mattina ha incontratole associazioni di categoria, facendo indispettire il Partito democratico che accusa la Lega di «inaffidabilità». Anche in questo caso, se ne occuperà il Parlamento.

E lo stesso accadrà per il Ddl Concorrenza e per le pensioni. Tutti temi sui quali il governo non dovrebbe mettere la fiducia, lasciando le Camere e le forze politiche di maggioranza libere di decidere e di trovare un difficilissimo punto di equilibrio. Segno evidente di come, al di fuori di Covid e Pnrr, tenere insieme Pd, M5S, LeU, Iv, FI e Lega sia un'impresa titanica. Che il premier Draghi - che potrebbe legittimamente sentirsi preso per i fondelli da partiti che approvano provvedimenti all'unanimità con l'obiettivo di smontarli poi nel corso dell'iter legislativo - non vuol neppure provare a realizzare, lasciando le grande al Parlamento e occupandosi solo della sua missione principale. Ma il Paese non vive di sola campagna vaccinale.

 

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