Crisi dell'energia, c'è una tassa grillina sul gas: il M5s ha ridotto la nostra produzione di metana
C’è una bolletta occulta che gli italiani stanno pagando insieme ai rincari dell’energia, e si chiama Cinque Stelle: se oggi la nostra produzione di metano copre solo il 4,6% del consumo, e il restante 95,4% lo importiamo a carissimo prezzo soprattutto dalla Russia, ma anche dall’Algeria e dalla Libia, lo dobbiamo infatti soprattutto al panambientalismo grillino, che ha portato negli ultimi anni a una drastica diminuzione della nostra produzione di metano. Il referendum “No Trivelle” del 2016 fallì per mancanza di quorum, ma la crociata di Beppe Grillo contro i gasdotti (“Bisogna far capire a dei fossili che il fossile è finito”) continuò incessante, e nel programma di governo presentato quattro anni fa il Movimento decretò una sostanziale condanna a morte per le trivellazioni: “L'attività di esplorazione e di coltivazione di idrocarburi liquidi e gassosi in mare o in terraferma – c’era scritto - comporta inevitabilmente il ricorso ad operazioni invasive e potenziali rischi per l'ambiente e per la salute, così come l'aumento di emissioni climalteranti”, con l’aggravante che “quasi la metà degli impianti di trivellazione in mare nella fascia protetta, ossia all'interno delle 12 miglia dalla costa, non sono mai state sottoposte a valutazione di impatto ambientale”. Ergo: “da tutte queste considerazioni deriva l'assoluta inopportunità a proseguire o ad autorizzare nuove trivellazioni, poiché ogni altra attività legata a prospettive di estrazione di idrocarburi in mare e in terraferma, ancorché meramente esplorativa, intaccherebbe l'integrità dei siti marini e terrestri”.
Risultato: il governo gialloverde col decreto Sviluppo bloccò un’ottantina di piattaforme di ricerca nelle acque territoriali italiane, mentre Croazia, Montenegro e Grecia proseguirono le esplorazioni, qualche miglio più in là, negli stessi giacimenti metaniferi. Un autentico capolavoro tafazziano. E non finisce qui: quando nacque il Conte 2, Di Maio rivendicò “con orgoglio” che tutti i venti punti del Movimento sull’ambiente erano stati inseriti nel programma di governo col Pd. Quindi Zingaretti avallò senza batter ciglio non solo lo stop alle trivellazioni in mare - ignorando la clamorosa rivolta del partito emiliano -, ma anche a tutti i termovalorizzatori. I veti ideologici rischiarono di tagliarci fuori anche dal progetto EastMed, il gasdotto destinato a unire i giacimenti di Israele e Cipro con Grecia e Italia, che porterà in Europa una quantità di gas naturale in grado di favorire la diversificazione energetica e di ridurre drasticamente la dipendenza dalla Russia. Sarebbe stato un altro danno irreparabile in proiezione futura, fortunatamente poi scongiurato.
Ora che siamo in mezzo a una tempesta energetica simile a quella degli anni ’70, viviamo il paradosso di dover importare a carissimo prezzo un prodotto fossile che, se estratto dai nostri giacimenti, ci costerebbe dieci volte di meno, con un risparmio di dodici miliardi che il governo non sarebbe costretto a reperire faticosamente nel bilancio dello Stato. E pensare che Di Maio, da ministro dello Sviluppo economico, arrivò perfino a sostenere che lo stop alle trivelle era “una battaglia per la sovranità nazionale”. Le ultime parole famose.