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I politici del Copasir sognano la 500 di Stato: "Cassa Depositi e Prestiti in Stellantis"

Franco Bechis
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L'ultimo sogno che - vera magia- riesce a unire tutta la nostra classe politica si chiama Cinquecento. Per i più anziani fra noi era la deliziosa creatura Fiat che poteva diventare croce e delizia di chi si metteva al volante, costretto alla «doppietta». All'epoca non esistevano cambi automatici e quello della 500 era il solo privo di sincronizzazione: per scalare o salire di marcia serviva la doppia mossa, passando dal folle e facendo scendere con maestria la frizione per non rischiare la brutta figura della «grattata» che faceva ridacchiare i passanti. Se ne trovano ancora in giro, in mano a collezionisti o vecchi proprietari che la tramandano di padre in figlio. Ma per i più giovani la Fiat 500 passata attraverso Fca e ora Stellantis è una delle più usate e moderne city car, divenuta perfino reginetta dell'elettrico nell'ultimo anno. Auto sempre desiderata, e capiamo anche i nostri politici.

 

 

Ieri abbiamo appreso però che la loro nostalgia della 500 è ben più profonda: la vorrebbero auto di Stato, con un salto indietro davvero di stagioni che pensavamo sepolte per sempre. Eppure all'unanimità - opposizione meloniana compresa - i parlamentari del Copasir hanno messo nero su bianco il sogno della 500 pubblica in un capitolo della corposa relazione annuale del comitato di controllo sui servizi segreti presieduto da Adolfo Urso. Difficile comprendere che competenza abbia quell'organismo su pittoresche idee come questa. Ma l'hanno vestita bene, con antica sapienza. Secondo loro infatti ci sarebbe una emergenza per la sicurezza nazionale: il trasferimento in Francia dell'asse portante di Stellantis, che per altro non è esattamente notizia dell'ultima ora. E il settore «automotive» all'improvviso viene ritenuto strategico, usando le parole più in voga del momento. «La transizione ecologica, anche in considerazione delle decisioni assunte a livello comunitario, sta investendo il settore automobilistico, la cui filiera produttiva è tra le più importanti nel panorama industriale italiano», sentenzia il Copasir, che così prosegue: «La sempre più ampia diffusione delle auto elettriche produrrà un impatto significativo sui processi produttivi portando al forte ridimensionamento se non all'abbandono di alcune linee industriali del relativo indotto. Il processo di transizione ecologica dovrà pertanto svolgersi in modo non traumatico, tenendo conto proprio delle specificità di questo settore industriale le cui ricadute in ambito occupazionale ed economico del nostro Paese sono molto rilevanti». Allarme, allarme! La 500 potrebbero farla i francesi da un momento all'altro, e magari trasformarla in un variopinto Macaron: non resta che l'appello a Mario Draghi perché eviti il possibile scempio.

 

 

La soluzione per i nostri parlamentari è lì a portata di mano: «Potrebbe essere valutato», scrive il Copasir, «un interessamento di Cassa depositi e prestiti, il cui eventuale ingresso nel gruppo industriale potrebbe favorire un ribilanciamento di pesi tra la componente francese e quella italiana, così proteggendo le tecnologie e l'occupazione». E allora vai con la mano pubblica. L'abbiamo raccontata con leggerezza, senza manco chiederci che c'entri la sicurezza nazionale di cui dovrebbe occuparsi quel comitato con gli assetti azionari di Stellantis, ma non può sfuggire come la Cassa depositi e prestiti stia piano piano trasformandosi un po' in Croce rossa, un po' nel vecchio Iri secondo i capricci della politica. Deve fare da salvagente a imprenditori e imprese nei guai ma anche inchinarsi ai desideri di grandeur della nostra classe politica. Qui si passa la misura anche rispetto alla filosofia del «tavolo dell'auto» apparecchiato qualche giorno fa a Palazzo Chigi. Non che manchino problemi nel settore, tanto è che anche la commissione europea ha iniziato a muoversi dopo la crisi dei microchip scoppiata nel bel mezzo della pandemia. In quel caso si è pensato a un investimento strutturale per togliere al vecchio Continente la dipendenza strutturale da altri produttori. Ed è quel che dovrebbe fare l'Italia invece di baloccarsi con l'intervento pubblico in società private internazionali: avere un'idea della mobilità privata dei prossimi anni senza riempirsi la bocca di slogan lontanissimi dalla realtà. Perché un conto è ripetere come una filastrocca che dovremmo passare all'elettrico, altro calare lo slogan in quel che l'Italia è. C'è una idea di infrastruttura elettrica da realizzare per rendere effettivo il cambio di era? E in quali tempi visto che oggi è di fatto inesistente? È realistico immaginarla in un paese composto da 8 mila comuni, spesso piccoli, sperduti tra le colline, in valli desolate o sulle montagne? Ecco, se proprio la politica sente il bisogno di occuparsene, le risposte strategiche da dare sono queste.

 

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