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Con il ritorno al sistema proporzionale sarà un pasticcio: il trasformismo della politica è garantito

Andrea Amata
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La faglia che si è insinuata nel centrodestra, in seguito alla gestione della corsa per il Quirinale, rischia di espandersi, smembrando una coalizione che sin dal 1994 incarna l'alternativa alla sinistra. Il dibattito ricorrente sulla legge elettorale si inserisce nella fase meno propizia per l'instabilità delle coalizioni, essendo attraversate da una conflittualità endemica in una escalation che potrebbe scatenarne l'implosione. La legge elettorale ha una funzione ibrida: sia tecnica, convertendo i voti in seggi, sia politica, sviluppando i processi politici che precedono il procedimento elettorale. Il nostro sistema democratico convive con l'anomalia di porre costantemente al vertice della sua agenda politica la legge elettorale che in ogni legislatura è oggetto di operazioni di restauro. Tale situazione di incertezza delle norme elettorali è da imputare all'immaturità del sistema partitico che non riesce a dotarsi di regole del gioco stabili, perché indotti dalle convenienze ad esplorare criteri di selezione più funzionali alla contingenza del ciclo politico. Dunque, sulla legge elettorale si concentra periodicamente un'ansia emendativa che genera riforme raffazzonate, puntualmente censurate dalla Corte costituzionale, che producono effetti di instabilità politica con maggioranze risicate o asimmetriche fra Camera e Senato. Tutto ciò si traduce in un basso rendimento della democrazia parlamentare con governi fragili ed ostaggio di una «fiducia» numericamente precaria.

 

 

Il sistema di tipo proporzionale assegna i seggi in Parlamento in proporzione ai consensi ottenuti dai partiti che verrebbero, così, stimolati a massimizzare il loro risultato, facendo prevalere la soggettività identitaria sull'affinità politica collegiale. In questo modo si otterrebbe la disarticolazione delle coalizioni con le maggioranze che maturano in Parlamento ex post il voto e con l'elettore reso ignaro sulla formula politica che plasmerà l'azione di governo. Mentre, il sistema di tipo maggioritario attribuisce i seggi a quella coalizione o partito che ottiene, in un determinato collegio, un voto in più degli altri. Tale meccanismo esorterebbe le proposte politiche a coagularsi in raggruppamenti omogenei ex ante il voto, conferendo ai cittadini il potere di sostenere un indirizzo di governo. In sostanza il proporzionale opacizza le responsabilità politiche che si incastrano nelle combinazioni parlamentari, estraniando l'elettore dalla scelta di governo.

 

 

Al contrario, il maggioritario concede trasparenza al confronto politico, precostituendo le alleanze e assicurando agli elettori la riconoscibilità preventiva dello schema di governo. Il sistema elettorale (proporzionale, maggioritario o misto) senza una revisione costituzionale, che incida sul bicameralismo paritario e introduca la cd. sfiducia costruttiva, e in assenza di una riforma dei regolamenti parlamentari rischia di essere un palliativo non risolutivo per efficientare la rappresentanza politica ed il rendimento istituzionale. Tuttavia, il meccanismo di voto attiva dei processi di semplificazione o frammentazione sull'assetto politico. L'eredità di instabilità permanente del proporzionale nella prima Repubblica, che esonerava i partiti dalla responsabilità di governo diluita nel consociativismo, dovrebbe suggerire di varare una legge elettorale ad impianto maggioritario per consentire la proiezione del popolo in un Parlamento demarcato da poli contrapposti nella «logica bipolare», evitando che questa degeneri nella «sindrome bipolare» dei trasformismi stimolati ad attecchire sul terreno del sistema proporzionale.

 

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