Gran reality a 5 Stelle: Giuseppe Conte va ko e viene detronizzato
La notizia è lapidaria: Giuseppe Conte non è più il capo del Movimento 5 stelle. Ma la trama - assai contorta - non avrebbe saputo immaginarla neanche il miglior sceneggiatore. A sospendere la leadership dell'ex premier - avvocato civilista - è un tribunale civile, quello di Napoli. E a firmare il ricorso che terremota i vertici grillini è un ex partecipante a un reality show. In pratica, tutta la costruzione mediatica dell'ex gieffino Rocco Casalino è stata demolita da un «collega» che deve la sua fama a «Matrimonio a prima vista». È solo una puntata - sicuramente non l'ultima dell'eterna telenovela politica del Movimento 5 stelle. Una vicenda politico-giudiziaria che cade proprio nei giorni dell'accesissimo scontro tra Giuseppe Conte e Luigi Di Maio e che complica di non poco le vicende dell'intera galassia pentastellata. I fatti: il Tribunale civile di Napoli ha accolto il ricorso di tre attivisti e ha sospeso la decisione con cui il «non partito» ha introdotto la figura del presidente, ruolo ricoperto da Giuseppe Conte. Di fatto, le lancette dell'orologio sono tornate indietro a sei mesi fa e sebbene la decisione dei giudici sia solo sospensiva in attesa della sentenza definitiva sul ricorso - un'altra udienza è prevista tra una ventina di giorni i suoi effetti sono immediatamente applicabili. Conte non è più il capo dei 5 stelle e si ritorna al vecchio assetto, con un comitato direttivo composto da 5 membri da votare sulla piattaforma Rousseau, dalla quale nel frattempo il Movimento ha divorziato. Per i giudici è stata «illegittima» la decisione di escludere dalla votazione dell'agosto 2021 sul nuovo statuto degli «iscritti all'Associazione Movimento 5 stelle da meno di sei mesi». Una decisione che «ha determinato l'alterazione del quorum assembleare». Quorum non raggiunto considerando le regole del vecchio statuto che prescrivevano la partecipazione della maggioranza degli iscritti.
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Il Movimento, sostanzialmente, avrebbe dovuto prima modificare le regole del vecchio statuto votando su Rousseau, come prescritto, e poi procedere alle nuove delibere. A guidare i ricorrenti l'avvocato Lorenzo Borré, vera e propria «bestia nera» dei vertici pentastellati, avendo già contribuito a far annullare diverse espulsioni. A firmare il ricorso in particolare ci sono tre attivisti. Il primo dei quali, Steven Brian Hutchinson, era stato già reso celebre dalla controversa partecipazione al reality show «Matrimonio a prima vista». Vicenda contorta ricostruita, per chi fosse interessato, da un altro articolo in queste pagine. A spiegare gli effetti della decisione del tribunale è proprio l'avvocato Borrè all'AdnKronos: «Decade la carica di Conte, in primo luogo. In secondo luogo emerge l'incompatibilità di alcune attuali cariche negli organi di garanzia, con le restrizioni previste dal precedente statuto, che è ritornato in vigore. Anche i cinque vicepresidenti decadono, essendo cariche non previste dal vecchio statuto». L'unica carica «superstite» è quella del garante, Beppe Grillo, che per Borrè dovrebbe far partire le votazioni - sulla piattaforma Rousseau - per comporre il Comitato direttivo di 5 persone. La vicenda aveva avuto una sorta di prologo nel giugno scorso, quando si era nel pieno dello scontro tra Grillo e Conte e il comico avvisò l'allora reggente Vito Crimi che, se avesse autorizzato una votazione su una piattaforma diversa da Rousseau, sarebbe stato ritenuto responsabile di tutti gli eventuali ricorsi futuri. Ricorsi che puntualmente sono arrivati nonostante Conte all'epoca avesse commentato con un'alzata di spalle: «Facciano pure». La sentenza ha ovviamente provocato l'immediata reazione dei vertici sospesi.
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Conte ha convocato una riunione proprio con Crimi al termine della quale sono state annunciate le contromosse. «Il leader è Giuseppe Conte- ha detto Crimi al termine dell'incontro- la nostra comunità ha parlato chiaro. Qualcuno pensa veramente che sarebbe cambiato il risultato se avessero votato anche i nuovi iscritti? Ora si procederà ad una nuova votazione secondo le indicazioni del giudice di Napoli». Lo stesso Giuseppe Conte è intervenuto per perorare le sue ragioni: «La mia leadership del MoVimento 5 Stelle si basa sulla profonda condivisione di principi e valori. È un legame politico prima che giuridico, non dipende dalle carte bollate». In attesa delle eventuali decisioni di Beppe Grillo, si registrano i commenti di alcune figure in qualche modo legate al Movimento. Caustico Alessandro Di Battista: «Se solo Gianroberto potesse scendere giù per un paio d'ore...». Più duro il figlio del «guru», Davide Casaleggio: «In più occasioni - si legge in una nota dell'Associazione Rousseau abbiamo evidenziato quanto la gestione delle votazioni e della comunità degli iscritti richiedesse un livello di attenzione e professionalità che non possono essere improvvisati con modelli di gestione, invece, approssimativi e dilettantistici così come, invece, avvenuto».
Neanche una parola, invece, da Luigi Di Maio e dai suoi fedelissimi, da giorni ormai impegnati in un accesissimo scontro con Conte sulla linea politica. E così è stato proprio l'ex premier a tornare sulla vicenda in serata, ospite di «Otto e mezzo» su La7: «Non è nell'orizzonte delle cose che Di Maio venga espulso ma é ovvio che lui - che è l'ex leader - ha delle responsabilità in più. Una leadership vera non ha mai paura del confronto sulle idee ma di fronte ad un attacco così plastico, in televisione, non si può fare finta di nulla». Insomma, «Giuseppi» continua a comportarsi come se da Napoli non fosse stata ordinata la sua «decapitazione». Circostanza stigmatizzata ancora una volta dall'avvocato Borré: «Il collega attualmente non ha più poteri decisionali e non può dettare soluzioni, almeno non con maggiori facoltà di un qualsiasi altro associato. Ma soprattutto non può prescindere dai paletti procedurali dello statuto nella versione ante agostana». La battaglia continua.
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