Passata la paura sul Quirinale, Letta fa subito retromarcia sul presidenzialismo
La paura fa novanta. Scampato il «pericolo» Quirinale, Enrico Letta si tiene stretta l’elezione del Presidente della Repubblica così com’è adesso. E guai a pensare di cambiare restituendo lo scettro al popolo sovrano. Non è da lui, non è da Pd. Il potere deve restare ben saldo nelle mani dei partiti, gli elettori non si devono impicciare di chi va al Colle.
E ha già pronto anche l’alibi per gli applausi a Sergio Mattarella nella cerimonia del giuramento. Ma quale «agenda», al massimo sono impegni su cui il Parlamento al massimo discuterà. Il presidenzialistico discorso del rieletto Capo dello Stato ritorna nei cassetti. Tutti quelli che si erano illusi che ci fosse qualcosa da fare – anche se nei precedenti sette anni non se ne era parlato – possono abbandonare i loro sogni di cambiamento, ad esempio nel sistema della giustizia.
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La «precisazione» del segretario del Pd avviene via twitter, il che non rappresenta il massimo dell’eleganza verso Mattarella: «Nessuna tentazione presidenzialista. Utile e legittimo che di fronte a messaggi presidenziali dal forte contenuto istituzionale il Parlamento discuta e prenda impegni. Successe con Ciampi e Napolitano. Che alle ovazioni seguano i fatti è un bene per la credibilità della politica». Traduzione: dal Quirinale non è arrivato un ordine, quegli applausi somigliano a chiacchiere di quelle che facciamo spesso tra di noi per ingannare il tempo a spese degli elettori. Quindi, continueremo a fare esattamente quel che abbiamo fatto finora, proni ai voleri di Mario Draghi. Non si cambia «agenda», dunque.
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A motivare il tweet piccato del leader del Nazareno, le critiche da varie parti sul suo «entusiasmo» troppo spinto nel nome della cosiddetta «agenda Mattarella». E quelle della politologa Sofia Ventura, che lo aveva frustato via social, facendogli notare che i suoi bollori pochi si addicevano al leader del partito demcoratico.
A sinistra ci tengono davvero tanto a specificare il carattere parlamentare della nostra Repubblica, negando al Capo dello Stato poteri di indirizzo politico. E la retromarcia del segretario presidenzialista a giorni alterni è stata davvero immediata. Senza nemmeno ritenete di dover spiegare il perché: neppure la vecchia «ditta» faceva così.
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Nella sostanza, non è piaciuto dalle sue parti quella sparata a razzo che semmai ha messo in difficoltà proprio Draghi. La stessa lettera scritta dalle capigruppo Pd di Camera e Senato Serracchiani e Malpezzi ai presidenti della Camera sul discorso presidenziale è stata probabilmente un autogol, come se si fosse alla ricerca di argomenti da facili applausi ma di complessa applicabilità. Più di uno, nel partito di Letta, si è domandato: «E allora che ci sta a fare il governo Draghi?».
Del resto, che a sinistra non ne vogliano sapere del presidenzialismo è anche normale, potremmo dire. E quando gli ricapita più di vincere la lotteria del Colle se ci si mette il popolo di mezzo...