romanzo quirinale
Gli onorevoli adesso sono stanchi di votare
È salutare la giornata parlamentare del cronista. Incroci gli sguardi nel palazzo di Montecitorio, e ti senti oggetto delle domande che per la verità dovresti porre proprio a loro. Non si rendono conto che fuori c’è rabbia per i ritardi e colpisce che dicano candidamente «non so nulla di quel che sta accadendo» persino di fronte ad una spietata telecamera. Che poi non è una straordinaria figura di fronte ad amici, parenti, elettori...
E ti imbatti in quelli che si dicono depressi perché stanno a Roma da una settimana e chissà per quanto tempo ancora. Come se la Capitale avesse perso il suo fascino eterno. Poi a sera, il bagliore, «forse ci liberano», all’annuncio che «si vota una donna». Negli occhi la speranza che sia quella giusta e che non riemergano anche adesso i franchi tiratori. Scusi, onorevole, ma quelli sareste voi: «Ah già, è che qui dentro perdiamo la cognizione del tempo e di quello che facciamo. Però non scriva il mio nome». Accontentato.
Ci mancava la storia dei parlamentari depressi. Quello che abbiamo di fronte è di primissima elezione, aveva toccato il cielo con un dito quando era arrivato «a Roma», ma la gioia di rappresentare il popolo italiano è finita presto. Da una commissione all’altra con il tentativo di contare qualcosa, perennemente infranto dai voti di fiducia che vanificano ogni «conquista». Sentono, in realtà, che il governo da ora in avanti dovrà pattinare in maniera un po’ più rischiosa e con i rancori che questa elezione presidenziale inevitabilmente si lascerà dietro, l’agguato parlamentare, l’incidente, la trappola non mancheranno di sicuro.
Dovranno abituarsi a convivere con la depressione come se fosse il Covid e vedranno le elezioni anticipate come una specie di terapia intensiva di livello nobile. Conviene votare «la donna» oppure seminare un altro po’ di panico per costringere i partiti a fare un giro al Colle per essere certi di non andare a votare, magari convincendo Mattarella al bis? L’onorevole che si «confessa» con noi quasi arrossisce ma si riprende subito per schivare lo sguardo di chi indaga su nomi e cognomi dei franchi tiratori anti Casellati.
Sì, c’è pure lui, ma scappa, non gli va di apparire, gli costasse la ricandidatura, il seggio, lo stipendio. Possiamo dire che è un Parlamento un po’ più triste quello che sta per superare lo scoglio del Colle? Dal giorno dopo non avrà più l’arma del voto segreto da adoperare. E chissà che allora non tenti di usarla ancora una volta contro «la donna» che dovrà passare sotto le forche caudine del voto parlamentare per il nuovo Presidente della Repubblica.
Anche se rischiano di dover restare a Roma per chissà quanto altro tempo, se il colpo è in canna pronto a partire. Ma la sopravvivenza passa pure per prove di forza spesso irrazionali. Forse conviene che qualcuno ricordi loro che la funzione del parlamentare è alta ed altra. E che il popolo li osserva, più severo che in altre stagioni.