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Per Letta sono tutti divisivi ma è lui a seminare macerie

Hoara Borselli
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«Divisivo» continuava a ripetere Letta rispetto alla figura di Berlusconi. La parola usata ed abusata dal segretario Dem come la più alta forma di discredito attribuibile a una figura che gravitasse intorno al Colle.

Unione, coesione, intesa e dialogo. Un mix di retorica che da settimane sentiamo ripetere come un mantra da chi, dietro l’apparente maschera del pacificatore conciliante, si sta rivelando il protagonista più divisivo tra tutti i leader che nel tentativo di trovare una mediazione, si trovano davanti a muri e veti.

 

Letta non si rassegna all’idea di dover cedere lo scranno quirinalizio a una figura che non abbia almeno una sbiaditura di rosso. Un affronto troppo duro da dover sopportare. Quindi tutto ciò che non riporti in qualche modo a quel colore, viene bollato come impresentabile, irricevibile o semplicemente un no. In fondo lo ha detto in modo chiaro: «Non sarà un candidato di destra».

Lui che non perde occasione nel ripetere quanto sia necessario fare presto non fa altro che porre veti e rallentare. Un uomo, un ossimoro.

 

Addirittura in un tweet Letta ha dichiarato: «Chiudiamoci in una stanza e buttiamo la chiave. Il Paese non può aspettare giorni di schede bianche, serve una soluzione». Un assist perfetto per chi ha immediatamente risposto cinguettando «tranquillo che la chiave te la teniamo noi, non vorremmo mai ci ripensassi». Sono giorni che il leader democratico si affanna in dichiarazioni disconnesse. Tipico atteggiamento di chi agisce con la razionalità offuscata dalla paura. Il timore fondato che un candidato di destra possa insediarsi al Quirinale fa dire a Letta cose prive di alcun senso logico.

 

Come il tweet al veleno nei confronti della Casellati: «Proporre la candidatura della seconda carica dello Stato, insieme all’opposizione, contro i propri alleati di governo sarebbe un’operazione mai vista nella storia del Quirinale. Assurda e incomprensibile. Rappresenterebbe, in sintesi, il modo più diretto per far saltare tutto». Accecato dalla paura di veder sfumare il sogno di un Presidente in rosso, Letta ha palesato un vuoto di memoria che con generosità gli colmiamo noi. Francesco Cossiga e Enrico De Nicola ricoprirono la seconda carica dello Stato e furono anche Presidenti della Repubblica. Quindi l’operazione proposta da Salvini non sarebbe fantapolitica. Il goffo tentativo di giustificare l’ennesimo veto non solo è mal riuscito ma non ha risparmiato a Letta una figuraccia degna di nota.

Per un solo momento ha cercato di spezzare la monotonia dei continui «no» con un tiepido «è di qualità», riferito al terzetto proposto dal centrodestra. Ovviamente che non fosse un «sì» lo ha prontamente ribadito a distanza di poche ora sostenendo che quella qualità non era sufficiente per poter strappare un placet dalle fila democratiche.

 

Del resto quello che cerca Letta ormai è ben chiaro a tutti. Se non riuscirà nell’impresa di far traslocare Draghi da Chigi al Colle, di sicuro userà tutte le armi a sua disposizione per sbarrare la strada a chiunque esca dalle rose del centrodestra. È evidente la convergenza su Casini perché come ha cinguettato il leader della Lega Salvini «è stato eletto con il Pd».

La litania del «facciamo presto» di Letta si potrebbe concretizzare solo se ci si affretta a schierare in campo un nome a trazione rossa. Altrimenti ci si può prendere tutto il tempo necessario, con la dovuta calma travestita da fretta, finché a forza di veti e minacce la si possa sfangare per sfinimento.

Però c’è una variabile con cui il leader Dem forse non ha fatto i conti, ovvero che alla fine possa farcela un candidato a cui lui abbia detto no. E allora il ruggito del leone non spaventerebbe più nessuno, se non ridicolizzare se stesso.
 

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