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Quirinale 2022, il centrodestra cala il tris: ora si fa sul serio. I leader lanciano Pera, Moratti e Nordio

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Daniele Di Mario e Carlantonio Solimene
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Fumata nera e contrapposizioni, ma adesso si comincia a fare sul serio. All'alba della terza votazione - si terrà stamattina a Montecitorio, a partire dalle 11 - il centrodestra apre ufficialmente le danze per la presidenza della Repubblica lanciando una rosa di tre nomi «di altissimo profilo». Nel corso di una conferenza stampa congiunta di tutti i leader della coalizione anche se, per motivi di distanziamento, al tavolo principale siedono solo Matteo Salvini, Giorgia Meloni e Antonio Tajani - i profili proposti al Parlamento sono quelli di Marcello Pera, Letizia Moratti e Carlo Nordio.

Rispetto ai rumors delle ore immediatamente precedenti, mancano due nomi: quelli del coordinatore di Forza Italia Antonio Tajani e, soprattutto, di Maria Elisabetta Alberti Casellati, presidente del Senato, dai più ritenuta la vera e propria carta «nascosta» che dovrebbe essere calata domani, quando il quorum per l'elezione si abbasserà a 505 voti e il centrodestra potrebbe tentare la spallata. Non è detto, però, che finisca così. Perché la rosa lanciata dal centrodestra - pur bocciata da Pd, M5s e LeU ha il merito di riallacciare il filo della trattativa tra i due blocchi parlamentari. Letta coglie l'occasione per lanciare un appello al confronto invocando per oggi un vertice tra le coalizioni.

«Chiudiamoci in una stanza e buttiamo via la chiave fino a che non avremo trovato una soluzione» è il paradosso del segretario del Pd. Al tavolo, ancora non confermato, non si arriverà però al buio. I contatti sono andati avanti per tutta la serata di ieri e non è escluso che ci sia stata un'appendice notturna. L'obiettivo di una mediazione gira ancora intorno ai soliti nomi, quelli di Mario Draghi, Pier Ferdinando Casini e il bis di Sergio Mattarella. Con il primo, però, che ha ricevuto l'ennesima bocciatura tanto da Matteo Salvini che da Giuseppe Conte.

Intanto, in un'aula di Montecitorio rassegnata alla seconda fumata nera, è andato in scena il nuovo festival delle schede bianche (525) con la novità dei voti crescenti per Mattarella - ben 39 contro 16 di lunedì - e qualche segnale poco rassicurante in casa Lega, dove il «draghiano» Giorgetti ha raccolto 8 preferenze. Il centrodestra, si diceva. La decisione di proporre una rosa di nomi è maturata nel corso di un vertice in cui si è preso atto della sostanziale fumata nera registrata nell'incontro Draghi-Salvini.

Inizialmente tra i nomi c'erano anche Antonio Tajani spinto da Berlusconi - e la Casellati. Lei stessa, però, avrebbe chiesto di non comparire, perché entrando in una lista «di coalizione» avrebbe perso quel profilo super partes necessario per giocarsi le sue carte dalla quarta votazione in poi. «Vogliamo preservare l'istituzione- spiega Salvini riferendosi alla presidente del Senato - ma riteniamo che abbia in sé la dignità di essere una possibile scelta».

Discorso diverso per Tajani: «Avrebbe tutti i titoli Preferenze Quelle conquistate ieri da Mattarella, in crescita rispetto alle 16 di lunedì per fare il presidente della Repubblica, ma avendo un ruolo apicale in un partito ci avrebbero accusato di non cercare condivisione». «Non si tratta di candidati di bandiera perché noi non abbiamo bisogno di fare giochettiavverte ancora il leader della Lega - sono personalità di alto profilo che pensiamo possano rappresentare la comunità italiana al meglio».

Poi tocca alla Meloni ripercorrere i curriculum di tutto rispetto di Pera, Moratti e Nordio e ribadire come il centrodestra non si senta «figlio di un Dio minore» e abbia il diritto di avere un proprio rappresentante sul Colle. «Il centrodestra ha il diritto di proporre una rosa e chiedere agli altri di esprimersi su questi, che è quello che gli altri farebbero con noi e che hanno provato a fare con una proposta anche senza avere questi numeri» spiega la leader di Fratelli d'Italia. Che poi torna sul cavallo di battaglia del presidenzialismo: «Credo che se il presidente della Repubblica lo votassero i cittadini, lo voterebbero in un giorno. Spero sia l'ultima volta che si vota così. Per la prossima mi auguro che avvenga nel minor tempo possibile, con un accordo ampio e senza veti contrapposti».

La mossa ottiene subito un risultato inaspettato, perché Letta parla di «nomi di qualità» («buona risposta», commenta subito la Meloni). Poi si apre il vertice di centrosinistra che si chiude con l'abituale nota congiunta: «La terna del centrodestra appare un passo in avanti» ma «non riteniamo che su quei nomi possa svilupparsi la larga condivisione». Al fine di trovare una soluzione comune «non contrapponiamo una nostra rosa di nomi» e «proponiamo un incontro tra due delegazioni ristrette». La situazione, insomma, starebbe lentamente uscendo dallo stallo. Questa mattina, prima del voto, il centrodestra tornerà a riunirsi e, in assenza di novità sostanziali, potrebbe decidere di contarsi su uno dei nomi lanciati ieri, probabilmente quello dell'ex magistrato Carlo Nordio. Un modo per mostrare la propria forza numerica e il proprio diritto di guidare le danze.

Da Palazzo Chigi, intanto, si assiste con trepidazione a quanto si muove in Parlamento. Dopo i contatti serrati di lunedì con i vari leader, ieri Draghi si sarebbe limitato a una telefonata con Salvini, resa nota da quest'ultimo. Con le ore che passano, però, il segnale più evidente è che il veto posto al premier da Lega, Forza Italia e Movimento 5 stelle continua a non essere rimosso. Anche per la difficoltà di arrivare in breve tempo a un'intesa complessiva nell'ambito della maggioranza su nuovo governo, durata della legislatura e legge elettorale proporzionale.

Le chance di Draghi, insomma, sembrano ridursi, a meno che non intervengano fatti nuovi. Le parole di Salvini e Conte, peraltro, sono inequivocabili: «Draghi sta bene a Palazzo Chigi» ha chiosato il leader della Lega. Come al solito più contorto il ragionamento del capo politico del M5s: «Un anno fa ci siamo predisposti a un perimetro di maggioranza non certo confortevole. Oggi secondo noi se abbiamo affidato a un timoniere questa nave in difficoltà non ci sono le condizioni perché si possano fermare i motori, cambiare equipaggio o chiedere al timoniere un altro incarico».

Non finisce qui, perché i fedelissimi di Conte fanno anche trapelare che in caso di passaggio del premier al Quirinale l'eventuale adesione del Movimento al quarto governo della legislatura non sarebbe scontata ma «sarebbe sottoposta al referendum degli iscritti». Un ulteriore avviso a chi teme le elezioni anticipate.

A favorire Draghi, semmai, è la situazione internazionale con il possibile imminente conflitto russo-ucraino che necessiterebbe di un rapido sbocco del toto-Quirinale. Oltre a un nervosismo dei mercati che non è ancora deflagrato ma comincia a lanciare qualche segnale inquieto (ieri lo spread ha chiuso a 144 punti base, solo un paio di mesi fa viaggiava intorno ai 100). Di tutto questo, però, non sembra esserci traccia nei pensieri dei parlamentari.

Ieri uno dei momenti più «eccitanti» della giornata è stata l'apparizione in Transatlantico di Bruno Vespa, che dopo aver raccolto qualche preferenza nella prima votazione è stato preso d'assalto da peones e qualche ministro ansiosi di conoscere il pronostico del giornalista.

Poi la tensione per l'ennesima giornata di semplice attesa si è consumata, per qualche burlone, nei nomi infilati per scherzo nell'urna. Ieri qualche preferenza per Maradona, una per Nino Frassica e pure una per il carneade Ciro Violino. Mancano all'appello almeno trecento schede bianche, tutte di potenziali franchi tiratori. Si ride, si scherza e si balla. Come sul pontile del Titanic. 

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