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Quirinale, alla sinistra basta il ritiro di Berlusconi. Ma dietro l'odio c'è il vuoto di idee

Hoara Borselli
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Se una volta si cantava «la festa è finita, gli amici se vanno», oggi nei salotti radical chic della sinistra si canta «la festa abbia inizio... Berlusconi se ne è andato». C'è poco da esultare diciamo noi visto che solitamente un sospiro di sollievo si tira quando, scongiurata la partecipazione alla competizione dell'avversario più forte, si è certi che sia il proprio a tagliare il traguardo. Peccato però che per la sinistra «il proprio» non ci sia, ma il semplice fatto che il Cavaliere si sia sfilato dalla corsa al Colle è più che sufficiente per sentirsi appagati.

Qualcuno dovrebbe spiegare a Letta e compagni che la corsa al Colle non è una partita di calcio vinta a tavolino solo perché l'avversario non si presenta sul campo da gioco. Dietro allo stucchevole alibi di quel profilo alto e prestigioso paventato da Letta, Conte e i compagni di merende, si nascondeva solo la speranza di non vedere Berlusconi occupare lo scranno più alto della politica.

A poco è valso insistere con la favoletta dell'impresentabile divisivo, quella stucchevole retorica che da settimane sentiamo ripetere come un mantra, come una lezioncina imparata a memoria, al punto da generare come i tre moschettieri, tre tweet identici buttati in pasto agli utenti cui non è sfuggito il ridicolo copia e incolla. Una figuraccia che ha rappresentato l'unico punto di convergenza tra Speranza Letta e Conte sul Quirinale. Intrappolati nel loro stesso vuoto di idee, contenuti e soprattutto candidati spendibili, alla sinistra non resta che stare in scia alla destra, alle sue mosse e decisioni. Un po' come fa l'avvoltoio quando si avventa sulla carcassa dell'animale ucciso da altri, si sfama dei suoi resti con l'arroganza di chi si vuole intestare il trofeo di caccia, conscio però del fatto che se non ci fosse stato il leone a sbranare la gazzella lui non avrebbe mai mangiato.

La narrazione di queste giornate che hanno preceduto il voto, ci raccontano di una sinistra che mediaticamente sta campando di luce riflessa rispetto a tutto ciò che fa o non fa la destra. Comparse che giocano a voler fare i protagonisti. La destra fa il nome di Berlusconi, ecco che partono le corazzate progressiste a rilasciare dichiarazioni a tappeto sulla sua incandidabilità guadagnando titoloni sul più becero discredito. Berlusconi si smarca dalla corsa, eccoli ripartire a raccontarci perché siano felici di tale scelta.

Ecco Conte, che per smarcarsi dall'imbarazzante silenzio rispetto alle vicende giudiziarie cui è coinvolto Grillo, parte all'attacco e cinguetta «Lo avevamo affermato in modo chiaro: la candidatura di Silvio Berlusconi era irricevibile. Con il suo ritiro facciamo un passo avanti e cominciamo un serio confronto tra le forze politiche per offrire al Paese una figura di alto profilo, autorevole, ampiamente condivisa».

L'avvocato del popolo sostiene che il ritiro del Cavaliere rappresenti un passo avanti. Rispetto a chi o cosa non è dato saperlo. E credo nemmeno lui sappia di quali passi stesse parlando visto che ad oggi a farla da padrone c'è stato solo immobilismo condito da sterili boutade su quote rose al Colle. Non si è fatta attendere la cinguettata di Letta «...Lo abbiamo detto fin dall'inizio.

Ora col ritiro di Berlusconi e lo scontro deflagrato all'interno del cd, tutto è chiaro...». Il Segretario del Pd, colui che nel 2013 fu salvato dai voti del divisivo impresentabile Berlusconi, ravvede nel suo ritiro dalla gara «uno scontro deflagrato all'interno del centrodestra».

Qui l'unico scontro che si ravvede è quello del nulla condito con il niente che palesa una sinistra in totale affanno. Una sinistra cui è stata sfilata dalle mani la sua arma migliore, il discredito dell'avversario, e dovrà ora dimostrare se tutta la presunzione messa in campo si trasformerà in numeri utili o rimarrà solo sterile retorica ideologica.

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