Quirinale, i partiti devono svegliarsi sennò comandano i tecnici
La mossa di Berlusconi può essere letta nei soliti due modi alternativi. È politica - e di livello - se è riuscito nell'intento, quello dichiarato, di far fuori la candidatura di Mario Draghi alla Presidenza della Repubblica, pur rinunciando alla propria. Sarà esattamente il contrario se di qui a 48 ore SuperMario tornerà a galla per il Quirinale. Ecco, la partita è tutta qui. Torna la politica o no? Il commissariamento della democrazia italiana deve durare ancora a lungo o c'è la speranza che la classe dirigente - quella che c'è non quella che si sogna - riesca a riaffermare un ruolo centrale nel nome della sovranità popolare? È il tempo che i partiti suonino la sveglia, anzitutto a se stessi. Finora, col governo Draghi sono stati ammutoliti, subendo ogni scelta del banchiere messo a Palazzo Chigi da Sergio Mattarella. Ma c'è un limite a pretendere di salire al Colle non facendo mettere becco a nessuno neppure per il governo successivo a quello in carica. Da ieri risuona più forte - con la mossa di Berlusconi - il grido di chi dice a Draghi di restare dove sta. La scelta del Quirinale non spetta al premier in carica e non sarà un caso se non c'è mai stato un Presidente del Consiglio eletto al Quirinale. Del resto, che questa legislatura (ormai verso la fase finale) sia stata molto strana lo dimostrano tante cose diverse.
Più Casini per Draghi. Con il ritiro di Berlusconi per il Quirinale è ballottaggio a due
Tre maggioranze, una diversa dall'altra; il primo premier multicolore; il secondo senza colori se non il suo; è iniziata con l'impeachment (ritirato in zona Cesarini) contro Mattarella poi esaltato fino al punto di desiderarne il bis; dalla guerra diplomatica alla Francia al Trattato del Quirinale; e persino la riduzione dei parlamentari voluta dal Movimento che ci rimetterà di più. Molto stravagante diciamo. Davvero una politica nuova e perduta... Il capolavoro finale per i tecnocrati che tifano per Draghi al Quirinale - con tanto di benedizione del Pd - vorrebbero anche un governo capeggiato da un tecnico. Sarebbe uno spettacolo orrendo tra Quirinale e Palazzo Chigi. È davvero complicato concedere a un presidente del Consiglio che non ha mai avuto l'onore di ricevere un solo voto popolare il privilegio di diventare Capo dello Stato portando in tasca la sua lista di ministri da consegnare a chi gli succede al governo. Tutto questo succede per l'abdicazione della politica al suo ruolo, incapace di indicare una rotta per il futuro. Solo veti, mai proposte, soprattutto sul cosiddetto fronte progressista. Ma anche su quello opposto, dove non si è riusciti a tirare giù un comunicato finale per la discussione sulla durata della legislatura. Come se tutto dipendesse dalla nota conclusiva di un vertice via Zoom... La politica dei capricci tra partner litigiosi da una parte e dall'altra. Dovrebbero invece recuperare tutti il senso della missione istituzionale che non sta certo nella mistica del candidato superpartes da accompagnare a Quirinale. Perché semmai è la funzione a dover essere esercitata sopra le parti, ma ad Enrico Letta il principio sembra strano.
La dura verità sul destino di Draghi: nessuno lo vuole al Quirinale
Non è pensabile il tiro a segno su ogni candidato che provenga dalla destra, persino da quella moderata. Un esercizio che è favorito dai giornaloni che si entusiasmano al servizio del pensiero unico. C'è un costituzionalista che da domani avrà il coraggio di dire al Pd che non è il massimo dell'eleganza candidare al Colle il capo di un governo che poi da lassù nominerà il suo successore? Se non c'è la semplice percezione del danno che deriva dall'assenza sostanziale della politica poi non ci si deve stupire se vota sempre meno gente. Alle ultime elezioni suppletive di Roma alle urne si è recato il 10 per cento del corpo elettorale. Anche questo è un segnale pessimo per la politica e i partiti: la mobilitazione dei cittadini diventa inesistente perché danno l'idea - le forze politiche - di contare sempre meno, che la delega non serve a nulla. Se è sufficiente la mistica dell'uomo competente che può essere piazzato ovunque e in qualunque postazione istituzionale, perché disturbare l'elettore? Si è talmente esagerato che si è sostenuta la tesi che il Capo dello Stato in carica, Mattarella, si sarebbe dovuto «sacrificare» per un anno - fino al termine naturale della legislatura - per poi passare lo scettro proprio a Draghi. Di fronte all'ovvio nodi Mattarella, qualche bello spirito ha pensato a chiedere la stessa cosa a Giuliano Amato. Che magari all'idea di diventare senatore a vita dopo un anno al Quirinale avrebbe potuto anche vacillare... Scaldare la sedia per Draghi ci costerebbe un senatore a vita in più... Per carità, risparmiateci manfrine. Probabilmente Silvio Berlusconi ha compiuto una mossa saggia, per far cessare un clima isterico che non faceva bene all'Italia. Ma se tutto deve finire con un giro di giostra da Palazzo Chigi al Colle e con un tecnico alla guida del governo ci sarà chi penserà che si stava meglio quando si stava peggio.
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