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Le cancellerie estere chiedono affidabilità e spingono per la riconferma del duo Draghi-Mattarella

Luigi Bisignani
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Caro direttore, tanti piccoli Jack Ryan - il celebre analista della Cia protagonista di molte spy story di Tom Clancy - stanno sbarcando a Roma per aggiornare in tempo reale i dossier delle principali cancellerie estere sulle evoluzioni delle votazioni del Presidente della Repubblica. In un rapporto riservato del Dipartimento di Stato Usa, sulla base di un dispaccio dell'ambasciata di Via Veneto, riguardo all'elezione al Colle si legge: «Il metodo non consente una conoscenza ed un dibattito preventivo sui programmi dei candidati, che del resto ufficialmente non ci sono, tanto più che il diritto di voto appartiene a mille grandi elettori sconosciuti e prescelti oltre cinque anni fa, che fanno riferimento a non più di dieci super grandi elettori». Il requisito che fuori dallo «Stivale» viene privilegiato è l'«affidabilità nella continuità» per il completamento degli adempimenti legati al Pnrr. I tre must sono sempre gli stessi: autorevolezza, continuità dell'azione politica e responsabilità, proprio quella che nei dossier internazionali va sotto la voce «accountability». Tra i nomi che circolano, i due che rispondono maggiormente ai requisiti sono i già testati Mattarella e Draghi, soprattutto Oltralpe. È per questo che il presidente Macron, a maggior ragione dopo il Trattato del Quirinale, tifa Mattarella affinché rimanga al suo posto almeno per i prossimi due anni. Draghi, da parte sua, può schierare numerosi followers di quel che resta del mondo Merkel in Germania, tra i mandarini della Bce e, soprattutto, negli Stati Uniti, dove le grandi banche d'affari sono certe dì poter contare, con lui al Colle o a Chigi, su un sicuro punto di riferimento.

 

 

A Super Mario, oltre al no dì Berlusconi, è arrivata la notizia, via Aise, che i cinesi faranno di tutto per boicottare la sua «promoveatur». Nonostante le aspirazioni estere, pare che i due veri candidati-ombra in pole position li sostenga Mattarella, che sta esercitando un ruolo attivo attraverso il suo braccio destro Ugo Zampetti, e sono i soliti Paolo Gentiloni e Marta Cartabia. Si libererebbe così la poltrona di Commissario europeo e ai francesi, di turno alla Presidenza Ue, non dispiacerebbe, sempre come alternativa a Mattarella ovviamente. Più tiepidi gli americani, nonostante gli sforzi profusi da 'er moviola' per rinforzare le credenziali atlantiste. In Vaticano, in cui egli è convinto di essere di casa solo perché un suo avo scrisse i Patti Lateranensi, ha ancora strada da fare. Ma come oramai è di tutta evidenza, a Bergoglio l'Italia, così come l'Europa, interessa sempre meno. Marta Cartabia, invece, negli Usa ha rapporti con il suo omologo, Merrick Garland, ma anche con il presidente della Corte Suprema, John Roberts e con i giri accademici di quando ancora era una research fellow all'Università del Michigan dì Joseph Weiler, al quale ha amorevolmente tradotto i libri. Ma le grandi corporations europee e americane si aspettavano molto di più dalla recente riforma della giustizia e per questo la sua stella si è offuscata. L'accresciuto peso politico ed economico dell'Italia nell'Unione Europea dopo la Brexit, l'uscita di Angela Merkel, le debolezze francesi e l'arrivo dei fondi del Pnrr hanno reso queste elezioni talmente rilevanti e incandescenti al punto che oltre 120 giornalisti sono piombati a Roma per garantire, in tempo reale, una cronaca dettagliata di tutte le «evoluzioni quirinalizie» pronti a raccontare la «Berlusconi dinasty», ormai tramontata, dopo il passo indietro del Cavaliere.

 

 

Nelle principali capitali europee la «best practice» passata sarebbe da ripetere, con Sergio Mattarella ancora per un paio d'anni al Colle per arrivare a fine pandemia e ad elezioni politiche regolari con un Parlamento legittimato ad eleggere un nuovo Capo dello Stato, e Mario Draghi a Palazzo Chigi: con Londra fuori dall'Unione Europea, infatti, oggi Berlino e Parigi hanno bisogno di una Roma forte e, qualora Draghi salisse al Quirinale, sarebbe davvero difficile trovare un nuovo premier. L'ipotesi bizzarra di Vittorio Colao non viene neanche presa in considerazione in quanto è ritenuto una specie di «Centauro», mezzo manager e mezzo consulente. E dunque, chi sarà il prossimo inquilino del Quirinale? Si ragiona attorno a Pier Ferdinando Casini, che ha avuto la grande abilità di non ricoprire mai incarichi di governo, e che negli anni è riuscito a darsi una patina internazionale, sia come europarlamentare che in commissione Esteri del Senato. Per lui si muove con grande abilità un fuoriclasse apprezzato ovunque come Alejandro Agag, genero di José Maria Aznar e già segretario del Ppe. Ovviamente ai filosofi e agli intellettuali di tutto il mondo piacerebbe uno come Marcello Pera, guru popperiano, che vanta più di un amico nei circoli di Washington come l'American Enterprise Institute e, certamente, può contare in queste ore sulle preghiere del Papa emerito Joseph Ratzinger ma, dì contro, sulle «gufate» dei pubblici ministeri che dal Csm con lui al Colle verrebbero rimessi in riga.

Capitolo donne: nelle cancellerie europee, sia pure senza alcuna possibilità concreta, c'è in prima fila Emma Bonino, ma solo perché ricordata per essere stata Ministra degli Esteri e Commissaria europea. Mentre Londra, e solo Londra, impazzirebbe per Letizia Moratti: più che presidentessa, lei al Quirinale si sentirebbe una vera Queen e tratterebbe tutti come sudditi, compresi quei segretari di partito ai quali oggi scodinzola. C'è ancora chi ricorda quando il Principe William andò a trovarla nella sua residenza milanese e notò subito quattro Canaletto molto simili a quelli di Buckingham Palace. «Sono otto in tutto, ne abbiamo metà io e metà tua nonna», rispose compiaciuta la padrona di casa. Dalla sua, oltre a Salvini, anche le lobby del petrolio e delle assicurazioni, dove ha un ruolo apicale il suo grande amico, sponsor nonché ottimo tennista Carlo Clavarino, gran patron di Aon. Chiude il capitolo femminile Elisabetta Casellati, anche lei in pole position per il suo attuale ruolo istituzionale e per essere stata un'autorevole e apprezzata consigliere del Csm. Ma la vera preoccupazione a Bruxelles, come a Berlino o Washington, è che con Draghi a Chigi ammaccato dopo il no di Berlusconi, l'Italia riprenda la solita tarantella dei conti pubblici in dissesto, dei Btp da immettere sul mercato a prezzi stracciati e con rendimenti altissimi e del Recovery Plan che non andrà più in porto. Convinti che a Roma, finiscono sempre per buttarla in caciara.

 

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