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Faccia a faccia Salvini-Conte per il Quirinale. La partita si tinge di gialloverde

Franco Bechis
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Ieri mattina Matteo Salvini si è incontrato come aveva già fatto alcune volte in gran segreto con il capo del M5s, Giuseppe Conte. A differenza del solito però un giornalista che passava di lì l'ha pizzicato, comprendendo cosa era accaduto. Salvini, che avrebbe preferito non averne pubblicità, a quel punto ha deciso di svelare a tutti il faccia a faccia con grande dispiacere del bravo collega che stava custodendo gelosamente il possibile scoop. Siamo a quattro giorni dall'inizio delle votazioni per scegliere il prossimo inquilino del Quirinale, e non c'è davvero nulla di strano nel fatto che leader politici di schieramenti diversi si incontrino e si parlino provando a cercare una figura che possa essere condivisa: nessuno ha i numeri necessari a eleggerne uno all'interno di un solo schieramento, pur tenendo conto del Vietnam in cui si è trasformato come in ogni legislatura il ventre molle delle aule parlamentari: quel formicaio un po' disordinato del gruppo misto. Sarebbe normale, eppure non sono stati nascosti maldipancia in entrambi gli schieramenti per quella libera scelta di parlarsi senza per forza convocare al tavolo gli alleati dei due fronti.

 

 

È molto difficile trovare una intesa sul prossimo presidente della Repubblica: sulla carta il solo in questo momento ad avere voti trasversali sarebbe Mario Draghi, visto che il governo da lui guidato è sostenuto praticamente da tutto il centrosinistra e dalla parte più consistente del centrodestra, con la sola Giorgia Meloni che resta ai margini. Ma se al buio si provasse a fare correre Draghi alla prima votazione, non raggiungerebbe di sicuro il quorum del due terzi dei componenti richiesti: nel voto segreto sarebbero decine i parlamentari che normalmente gli dicono di sì quando chiede una fiducia al governo che in questo caso invece gli direbbero no per il Quirinale. Chi scuote la testa (non dicendo proprio no) pubblicamente, lo fa recitando un mantra a cui nessuno crede: che la presenza di Draghi alla guida dell'esecutivo è una garanzia per l'Italia anche nei confronti dei partner europei, e che il lavoro iniziato circa un anno fa deve essere perseguito fino alla fine della legislatura. La tesi non regge con tutta evidenza: partner europei, mercati, osservatori internazionali si sentono assai più garantiti da un Draghi al Quirinale che dalla sua permanenza a palazzo Chigi, e ormai hanno iniziato anche pubblicamente a dirlo e scriverlo (come il Financial Times ieri). Quello su cui nessuno - nemmeno Draghi può offrire una garanzia credibile è invece la stabilità della attuale maggioranza di governo fino al termine naturale della legislatura (al massimo 12 mesi ancora). Con lui al Quirinale si alzerebbero e non di poco le chances di uno scioglimento anticipato e di nuove elezioni nella tarda primavera, ed è proprio questo timore che inevitabilmente farà aumentare la schiera di franchi tiratori nel segreto delle urne presidenziali.

 

 

Ai congiurati bisogna per altro ricordare che anche la permanenza di Draghi a palazzo Chigi dopo l'elezione di un altro presidente della Repubblica non garantirebbe più di tanto la prosecuzione ordinata della legislatura fino al suo termine naturale per i motivi che abbiamo già ricordato da queste colonne: schieramenti che dovranno per forza di cose sfidarsi per il governo del paese fosse anche a gennaio dell'anno prossimo non potranno farlo avendo sorretto fino al giorno prima lo stesso identico esecutivo. Certo, basterebbe che i leader di centrodestra e centrosinistra si impegnassero per una soluzione o per un'altra in modo da garantirla con certezza. Il problema- ben evidenziato dai maldipancia di ieri seguiti ovunque all'incontro Lega-M5s è che queste due figure in questo momento non esistono e gli stessi due schieramenti rischiano grosso con le ferite che il passaggio presidenziale rischia di aprire. In questo parlamento ad avere più truppe sono da una parte Matteo Salvini e dall'altra Giuseppe Conte, che guida ancora la forza politica con i numeri più consistenti in aula. Ma fuori dall'aula, in quel mondo reale che appare rappresentato dai sondaggi, non è così: nel centrodestra Giorgia Meloni che oggi ha pochi parlamentari, vale quanto Salvini e forse di più, e Forza Italia è accreditata di numeri più o meno dimezzati rispetto alle ultime elezioni. Nel centrosinistra stesso film: il leader nel palazzo è Conte, fuori dal palazzo è invece Enrico Letta visto che il M5s ha dimezzato i voti. È proprio qui la difficoltà maggiore per eleggere il presidente della Repubblica: ci sono sì due schieramenti sulla carta, ma non è così chiaro come siano composti e chi sia in grado di rappresentarli interamente nel colloquio con l'altro...

 

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