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Silvio Berlusconi chiede altro tempo e alla fine resta ad Arcore. Giorgia Meloni e Matteo Salvini in pressing

Carlo Solimene
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Un altro giorno è passato e alla fine l'unica novità, per il centrodestra alle prese con la sfida del Quirinale, è che il vertice dei leader in programma oggi è stato rimandato. «C'è tempo» fanno sapere da Forza Italia, intendendo che se Silvio Berlusconi dovrà scendere in campo alla quarta votazione, la deadline potrebbe essere addirittura mercoledì 26. «Il vertice si terrà questa settimana» forzava invece Salvini, provando a mettere alle strette il Cav. E alla fine la mediazione che salverebbe la faccia a tutti dovrebbe essere domenica. Di certo il rinvio non sembra un segnale positivo per le ambizioni del leader di Forza Italia. Un po' perché accredita le tesi del come sempre loquace Vittorio Sgarbi, che aveva ipotizzato come, in caso di passo indietro, Silvio Berlusconi l'avrebbe comunicato da Arcore senza arrivare fino a Roma. Un po' perché, pur volendo credere invece alle sirene più ottimiste, la permanenza del Cavaliere nella sua dimora lombarda a inseguire telefonicamente quanti più grandi elettori possibile dimostra che la caccia è lungi dall'essere terminata. E, con la sabbia che scende impietosa lungo la clessidra si fa sempre più difficile.

 

 

Non solo: il probabile «Aventino» del centrosinistra per evitare smottamenti interni rende l'impresa quasi impossibile. Berlusconi non vuole saperne ancora di mollare: «Non vedo perché non ci dovrei provare» avrebbe detto ai suoi facendo prefigurare una conta in Aula anche al buio. Ma è chiaro che in queste condizioni viene naturale pensare al piano «B». «Sosteniamo Berlusconi ma nel caso in cui la sua disponibilità venisse meno, Fdi è pronta a formulare le sue proposte per concorrere a costruire una convergenza più ampia su personalità autorevoli nel campo culturale del centrodestra» dice esplicitamente la Meloni. Il «piano b», su questo sono tutti d'accordo, compreso lo stesso Berlusconi, qualora fosse necessario non sarà proposto o annunciato da un unico «kingmaker» della coalizione ma scaturirà da un accordo tra tutti i leader e sarà la proposta unitaria del centrodestra. Facile a dirsi, un po' meno a farsi. Perché un candidato che piaccia a Salvini, Meloni, Berlusconi, Toti, Lupi ecc e che riesca anche a racimolare i voti necessari a sinistra non è semplice da individuare. Ad avere più chance sarebbe Draghi, che piace ai centristi e alla Meloni (perché aprirebbe la strada a elezioni anticipate) ma assai meno a Berlusconi ed è vissuto alternativamente con favore o con fastidio da Salvini. Che, ieri, ha detto di preferirlo a Palazzo Chigi.

 

 

 

Gli altri nomi sul tavolo sono quelli che sono da giorni nel totoquirinale. Ieri, in particolare, erano date in risalitale quotazioni della presidente del Senato Maria Elisabetta Alberti Casellati (piace a Salvini) e dell'ex ministro berlusconiano degli Esteri Franco Frattini, ma restano in corsa anche Marcello Pera, Letizia Moratti, Giulio Tremonti, Gianni Letta e, fuori dal centrodestra, Giuliano Amato e Pier Ferdinando Casini. Con questi ultimi due che avrebbero l'appoggio del Pd ma difficilmente quello di Lega e Fratelli d'Italia. Sullo sfondo resta un'ipotesi. Berlusconi, ritirandosi alla fine ma non volendo a quel punto cedere il passo ad altri esponenti del centrodestra, potrebbe proporre il Mattarella bis. Finora il capo dello Stato ha sempre ribadito il suo no a uno scenario del genere. Ma negli ultimi tempi sembrerebbe si sia aperto un piccolo varco. In caso di «tsunami» politico nel bel mezzo della pandemia sarebbe difficile tirarsi indietro di fronte a una supplica dei partiti. Chissà...

 

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