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A scuola il Covid non c'è, il diktat imperativo del ministro Bianchi

Franco Bechis
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Come era ampiamente previsto alla vigilia della loro contestata riapertura gran parte delle scuole italiane sono nel caos, colpite sia dalla variante Omicron che dalla variante «norme folli su quarantene e Covid». Secondo il presidente dell'associazione nazionale presidi, Antonello Giannelli, «in base a quanto riferitoci dai nostri colleghi in Italia il 70 per cento delle classi è in didattica digitale integrata. Su 400mila classi totali, dunque 280mila sono in ddi. Difficile da dirsi quanti stanno a casa e quanti a scuola. Ma ci sono classi con appena sei alunni in presenza.

Dunque la ddi è una soluzione illusoria che tra l’altro non funziona». Parole che riflettono la realtà ben nota a molti genitori e studenti: nidi e asili stanno chiudendo uno dopo l’altro intere classi come è consentito dai protocolli, mentre nella scuola dell’infanzia e in quelle dei più grandicelli si compone ogni giorno di più quel mosaico confuso di compagni di classe un po’ in presenza e un po’ a casa collegati a linee che spesso non funzionano. Già dopo un giorno o due dalla riapertura il pasticcio si è formato, perché il virus ha ripreso a correre in molte Regioni proprio nella popolazione in età scolastica che traina le classifiche dei contagi. È stato così da settembre alle vacanze di Natale, poi grazie alla chiusura delle scuole la fascia di età più rilevante per i contagi è diventata quella fra 20 e 29 anni, con bambini e ragazzini che scendevano vari posti in classifica. Ed è presumibile quindi che i presidi, che hanno sotto occhio tutti i giorni la realtà, abbiano ragione. Anche perché i dati aggiornati quotidianamente da ogni Regione stanno confermando quella situazione: la sola Campania ieri ha segnalato 25.745 contagi in età scolastica, con le relative quarantene imposte (quasi 16 mila nella sola provincia di Napoli).

 

 

 

 

 

Ma alla evidenza della realtà si oppone indispettito il ministro della pubblica Istruzione, Patrizio Bianchi, che ieri ha contestato le ipotesi dei presidi: «Ancora una volta il presidente della associazione nazionale», ha sostenuto il ministro, «dà dei dati sulla Dad, noi li stiamo elaborando, li daremo quanto prima e saranno i dati ufficiali. Grandissimo rispetto per tutti coloro che fanno delle stime, ma i dati li diamo noi. Domani (oggi per chi legge, ndr) sarò in commissione alla Camera e lì sicuramente ci saranno i dati ufficiali». Un tono più da Napoleone o da marchese del Grillo che da ministro, visto che l’istituzione in questi due anni di pandemia proprio su quelle statistiche ha fatto acqua da tutte le parti. Al ministero più che una raccolta dati si effettua infatti una sorta di sondaggio sulla base dei casi volontariamente segnalati dai dirigenti scolastici. E in un momento in cui gli istituti sono travolti dall’emergenza e dal carico burocratico che le norme del governo assegnano al personale scolastico (lo stesso Giannelli ieri diceva con amarezza: «ci hanno trasformati in funzionari Asl»), è improbabile che quei report arrivino con puntualità al ministero e siano anche solo lontanamente descrittivi della realtà. Già nel precedente governo nel terribile autunno 2020 fece l’identica orgogliosa e perentoria affermazione l’allora ministro Lucia Azzolina, che nel giro di pochi giorni fu però travolta da una realtà sempre più forte di bandiere ed ideologiche affermazioni. Sarebbe stato più saggio rinviare di qualche settimana la riapertura delle scuole in presenza, magari procedendo in dad per tutti in corrispondenza con i picchi della curva pandemica. E certo non sarebbe stata una tragedia per la qualità dell’istruzione l’insegnamento a distanza almeno per un paio di settimane. Ma davanti a chi è convinto di avere la verità in tasca e che tutto decide lui, è inutile avanzare banali considerazioni di buon senso. E oggi i ragazzi in classe (per quel poco che ci stanno) complicano la vita a tutti.
 

 

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