Le tasse degli italiani servono a risarcire gli errori giudiziari
Che fine fanno i procedimenti penali in Italia? I dati del Ministero della giustizia restituiscono una fotografia preoccupante. Quelli definiti infatti, si concludono con l’archiviazione (48%), con il passaggio a riti alternativi (18%) e solo il 34% con il giudizio. I proscioglimenti poi, sono 123.887 su 338.360. In buona sostanza il 36,6% dei casi. Il che vuol dire che ancora tanti, troppi innocenti, sono costretti a subire indagini e processo, con le relative conseguenze, che vanno dalla spesa per gli avvocati, allo stigma sociale, alle carriere rovinate o sospese. Se parliamo poi di ingiuste detenzioni, vale a dire di innocenti sottoposti a custodia cautelare in carcere o arresti domiciliari e di errori giudiziari, quando cioè un innocente viene condannato con sentenza passata in giudicato, la situazione appare in tutto il suo orrore kafkiano.
Il sito www.errorigiudiziari.com, un preziosissimo archivio digitale, ci dice che dal 1991 al 2020 si sono verificati 29659 casi di errori giudiziari e ingiuste detenzioni. Ancora, considerando soltanto le persone sottoposte ingiustamente a custodia cautelare, il numero è di 1015 innocenti l’anno. La spesa complessiva per lo Stato, costretto a risarcire le vittime, è pari a circa 29 milioni di euro l’anno. A tale spesa, andrà aggiunta quella che seguirà alla nuova norma di buon senso approvata di recente, che prevede il rimborso delle spese legali - con un tetto massimo di 10.500 euro - per chi viene assolto. È vero che la cifra si allontana dal costo reale che sostiene chi affronta un processo, ma è altrettanto vero che, dati i numeri delle assoluzioni, per lo Stato la spesa potrebbe essere non di poco conto. Qualora non si volesse riconoscere l’orrore della privazione della libertà di un innocente, ma soffermarsi sul semplice costo dello «sbaglio», ci si renderebbe conto di un fatto oggettivo: a pagare per gli errori dei magistrati sono gli italiani con le loro tasse, in assenza di una legislazione adeguata sulla responsabilità civile.
Guardando le vicende che hanno interessato la magistratura negli ultimi anni, il quadro si fa ancora più avvilente. L’anno si è chiuso con il suicidio di Angelo Burzi, che ha denunciato la politicizzazione della procura torinese. Il nuovo anno si è aperto con la decapitazione, da parte del Consiglio di Stato, dei nuovi vertici della Corte di Cassazione, il Presidente Pietro Curzio e l’aggiunto Margherita Cassano, a mezzo di una sentenza che mena schiaffi al Csm dicendo, nella sostanza, che le nomine non sono adeguate. A peggiorare le cose, il fatto che quei due nomi fossero stati votati quasi all’unanimità dal Consiglio Superiore della Magistratura. Per non parlare della faida tutta interna alla procura milanese, che nasce dal caso Eni e che vede coinvolti Greco, ex procuratore capo, il pm Storari e Pier Camillo Davigo. L’ultima puntata dello scandalo ha dell’incredibile: i telefoni che avrebbero dovuto avere in memoria i messaggi scambiati fra l’ex capo della Procura milanese Greco e Francesco Salvi, pg della Cassazione nonché titolare dell’azione disciplinare, rigurdanti il caso, non risultano più magicamente in possesso dei due magistrati. Greco infatti, sostiene che Salvi non abbia mai chiesto notizie in merito alla gestione del caso Amara, mentre Salvi, al contrario, ha dichiarato di aver premuto su Greco affinchè le indagine procedessero spedite. Il fatto singolare è che non solo i telefoni siano scomparsi ma che del loro contenuto, magicamente, non esista neppure un backup.
Intanto, la riforma del Csm non sembra muoversi di un passo. Nonostante gli scandali, nonostante quanto rivelato da Luca Palamara, la riforma sembra essere ostaggio dei veti incrociati dei partiti. Il Consiglio scadrà a luglio, ma all’orizzonte non si vede una soluzione che metta fine allo strapotere delle correnti. Un problema che sembra non toccare il Presidente del Csm, Sergio Mattarella, che ha evitato di trattare il tema della giustizia nel suo discorso di fine anno. Con l’elezione del nuovo inquilino del Colle, potrebbe aprirsi però un nuovo scenario. Se il nome fosse effettivamente indicato dal centrodestra, la Lega ha fatto sapere che la questione dovrebbe essere affrontata con polso. A complicare il quadro, la proposta del Ministro Marta Cartabia, che pure ha molti meriti per aver portato il sistema a compiere diversi piccoli passi in avanti in senso garantista, sembra andare in una direzione giudicata inadatta ad eradicare il problema delle correnti: l’impianto della riforma infatti prevedrebbe un sistema maggioritario con collegi binominali e l’aumento del numero dei consiglieri da 16 a 20. Una riforma che non andrebbe, nel migliore dei casi, a sottrarre potere alle correnti e che creerebbe banalmente un bipolarismo all’interno del Csm o, nello scenario peggiore descritto per esempio dal magistrato Nino Di Matteo, porterebbe al trionfo del correntismo. Nessuna traccia quindi di quella che sarebbe, invece, la vera spina nel fianco delle correnti, vale a dire il sorteggio, soluzione preferita dal centrodestra e da Italia Viva. La degenerazione del «sistema» sembra insomma essere sotto gli occhi di tutti, ma totalmente ignorata da chi avrebbe il potere di decidere. Eppure la profezia di Cossiga, «finiranno per arrestarsi fra loro», sembra già essersi realizzata.