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Romanzo Quirinale, nello staff di Mattarella si lavora per il bis

Luigi Bisignani
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Caro direttore, Game of Thrones 2022, finale di stagione. Per decifrare il «sentiment» attorno al Quirinale bisogna guardare quello che sta succedendo nel circo Barnum dei veri palazzi del potere: da Tim a Leonardo, dalla Rai alla Farnesina, passando per il Consiglio di Stato fino alle Forze Armate. Poi è necessario fare il «match» con le manovre che si stanno consumando in queste ore nelle stanze del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, neppure lui così convinto di passare dai giardini del Colle ai giardinetti nei pressi di Villa Ada dove, con studiata enfasi, ha fatto sapere che andrà ad abitare. Molti assistenti si sono già dati alla fuga, ad eccezione del suo collaboratore più scaltro, Ugo Zampetti, che appare inamovibile e, da vero kingmaker qual è, sta giocando una sotterranea partita doppia premendo sulla riconferma di Mattarella almeno fino alla fine della pandemia o, in alternativa per garantirsi la sua super postazione, puntando tutte le fiches sui suoi favoriti, Paolo Gentiloni e Marta Cartabia (la «gender equality» è un must).

Quando un Mattarella bis sembrava impossibile, la prima ritirata dal Quirinale l’hanno battuta Daniele Cabras, figlio di un grande moroteo, che saggiamente si è fatto nominare Consigliere di Stato ed Emanuela D’Alessandro la quale, dall’ufficio diplomatico del Colle, si è fatta spedire a Parigi come ambasciatrice per seguire più da vicino quel pasticciaccio brutto dell’accordo Italia-Francia che contribuirà a smantellare ciò che resta della nostra industria pubblica.

Gli altri uomini del Presidente, anche loro da tempo in rampa di lancio, nelle ultime ore hanno tuttavia annusato l’aria di una conferma «in articulo mortis» e sono ritornati ai blocchi di partenza. Il caso più clamoroso è quello di Giovanni Grasso, capo della comunicazione, una vita in slalom tra sinistra Dc (Nicola Mancino), mondo cattolico e «para-cattolico» (Andrea Riccardi e Sant’Egidio) fino agli ambientalisti di maniera alla Paolo Gentiloni: per lui era pronto l’ingresso in TIM. L’attuale presidente del colosso delle telecomunicazioni, Salvatore Rossi, un «Mattarella boy», gli aveva infatti riservato la poltrona d’oro della «Comunicazione e Affari istituzionali» al posto di Alessandro Picardi, figlio di un grande padre ex sindaco di Napoli e sodale di Giorgio Napolitano ma soprattutto, marito di una «quaglia» matricolata, si fa per dire, Beatrice Lorenzin, già pupilla di Paolo Bonaiuti in Forza Italia, poi folgorata dal «Nuovo Centro Destra» di Angelino Alfano e ora, convintamente e pare definitivamente, approdata nel Pd. Picardi deve tutta la sua carriera trascorsa in Wind, Rai e Alitalia soprattutto a Luigi Gubitosi che però, a sentire i rumors nei corridoi della Telco, lo avrebbe tradito peggio di Bruto con Cesare ed ora è sfiduciato da tutto il Cda di Corso d’Italia. Ma il passaggio di Grasso in Tim, che doveva avvenire venerdì scorso, ha avuto un inaspettato stop. Indizio di un Mattarella bis? Chissà!

Per il momento, ancorato al Quirinale è Simone Guerrini, il più elegante e sottile consigliere di Mattarella, pronto a tornare in Leonardo con la nuova super direzione «Chief of Institutional, International Affairs, External Communication and Media Officer». Per Alessandro Profumo, con il costante andamento disastroso dei conti, una buona scelta al fine di continuare la lenta agonia. Gianfranco Astori, invece, anche lui consigliere per la stampa, vuole rimanere nei pressi del Colle, scendere per la Dataria e prendere il posto del bravo direttore dell’Ansa, Luigi Contu, anche lui figlio dello storico portavoce di Amintore Fanfani. Chi invece si sente più granitico della colonna di piazza del Quirinale è quel “bravo ragazzo del ‘39”, l’unico che per decreto può indossare la divisa anche se in pensione da lustri, ovvero il generalissimo Rolando Mosca Moschin, ex tutto, dai Servizi alla Guardia di Finanza, che si divide tra il Quirinale e il Circolo del Tiro al Volo.

Ma in verità al suo posto, ovviamente con un nuovo inquilino, punta Claudio Graziano, a cui ora sta stretto l’incarico internazionale di presidente del Comitato militare dell’Unione europea. Si conferma, come teorizzava Andreotti, che «l’unica guerra che sanno fare i nostri generali è quella tra loro». Tanti piccoli giochi di potere che fanno ritenere che un Mattarella bis, anche se a sua insaputa, non sia affatto così impossibile. L’ipotesi sarebbe inoltre l’unico modo per Berlusconi di non perdere la faccia, cosa che invece succederebbe in caso di elezione di un altro esponente del centrodestra, una Letizia Moratti qualsiasi, o, peggio, di un esponente della sinistra «fru fru», e per la coppia «Enrico e Giuseppi» di non lasciare le redini rispettivamente del Pd e del Movimento 5 Stelle. Ne beneficerebbe anche il Paese, che così potrebbe salvare il «Redeployment» e la ventilata redistribuzione dei fondi del Pnrr nel caso di Draghi fuori da Chigi. Anche i peones potrebbero tirare un bel sospiro di sollievo, scongiurando definitivamente il voto anticipato.

E per lo stesso Mattarella che, sebbene con Draghi non sia riuscito a creare quel feeling che c’era tra Scalfaro e Dini o tra Napolitano e Monti, non vedrebbe così naufragare il suo «governo dei migliori», che finora ha dato ben pochi segnali concreti. Anzi, come ipotizza Salvini e come auspicano un po’ tutti, si potrebbe arrivare ad un rimpasto proprio dei tecnici. A partire da Colao, che vuole solo il suo amico Bisio ormai dato in uscita da Vodafone in Tim; Giovannini, che per nascondere il disastro nel suo ministero ha chiamato un professore Doc come Bernardo Sergio Mattarella, figlio anche lui di tanto padre, a presiedere la commissione per la revisione delle tariffe autostradali una volta che i buoi sono scappati; Cingolani, che da super scienziato non ha ancora capito che pesci prendere sul nucleare; e Daniele Franco, detto Alexa, finito nel triangolo delle Bermude tra i vari Giavazzi, Rivera e Chiné. Non tutti i mali vengono per nuocere a meno che, con un grande colpo di teatro, zio Silvio non stupisca tutti anche questa volta.

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