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"No a un presidente di parte", l'assurda pretesa di Letta

Franco Bechis
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A pochi giorni dalla complicata elezione del successore di Sergio Mattarella al Quirinale ha fatto breccia una strana pretesa, cavalcata soprattutto dal segretario del Pd Enrico Letta: «inaccettabili candidature di parte». È il suo no all’ipotesi della candidatura di Silvio Berlusconi che a quanto sembra sarà lanciata dal centrodestra, leader politico che evidentemente non gli piace.

Non gradire una scelta e quindi opporvisi è ovviamente un diritto di Letta, come ipotizzare il suo voto per personalità che mai abbiano preso parte alla vita politica italiana, né mostrato una scelta o una preferenza di campo. Certo si riduce molto il campo e viene difficile trovare un’ampia rosa di papabili con queste caratteristiche. Ma dire che un presidente della Repubblica «non può essere stato di parte» né «leader di partito», è ben altra cosa, in assoluto contrasto con la nostra storia repubblicana e in fondo inaccettabile. Sarebbe anti-politica da quattro soldi, a cui non è mai sceso nemmeno il Movimento 5 stelle. Ed è offensiva anche per la storia personale di chi oggi assai apprezzato siede ancora al Quirinale.

Dote e in fondo quasi dovere di un presidente della Repubblica nel sistema costituzionale italiano è spogliarsi di qualsiasi appartenenza precedente e avere come bussola solo il bene comune e l’unità della Nazione. Mattarella è stato impeccabile in questo, ma in tutta la sua storia politica precedente è stato legittimamente «di parte». Non solo ha militato prima in un partito politico, concorrendo con successo alle elezioni sfidando avversari politici, ma addirittura ha «inventato» con la sua creatura più celebre - la legge elettorale che porta il suo nome - il concetto stesso di «schieramento politico», rendendo doveroso essere di parte per potere concorrere alle elezioni politiche generali e vincerle.

Come abbiamo visto in questi sette anni quella esperienza vissuta di politico con le sue idee profondamente di parte non ha impedito a Mattarella di spogliarsi con grande capacità e onestà di quegli abiti indossando l’abito super partes richiesto a un garante della Costituzione. C’è chi è riuscito a farlo più o meno bene nella storia repubblicana, e ognuno ha i suoi giudizi sui vari settennati. Personalmente non riesco a paragonare gli anni impeccabili di Mattarella con il settennato precedente, che ha prestato il fianco a molti dubbi o con quello ad esempio di Oscar Luigi Scalfaro che non riuscii ad apprezzare allo stesso modo. Ma si tratta di giudizi personali. È un fatto storico però che alla presidenza della Repubblica siano stati eletti sempre uomini chiaramente di parte, con la sola eccezione di Carlo Azeglio Ciampi. In un caso - quello di Giuseppe Saragat - fu eletto addirittura il capo e leader indiscusso di un partito. Fosse stato per Letta, che evidentemente all’epoca non era ancora folgorato da esigenze terziste, avremmo avuto presidente della Repubblica anche Romano Prodi, che certo non poteva essere definito «super partes», essendo stato nell’Italia bipolare il leader di uno dei due schieramenti politici.

Se ha potuto essere immaginato Prodi al Quirinale, non è certo l’essere stato leader di uno schieramento politico l’obiezione fattibile oggi alla candidatura Berlusconi. Non è un argomento che Letta può legittimamente mettere sul tavolo né imporre al centro destra come condizione preliminare per sedersi a un tavolo. Può votare o non votare Berlusconi, ma non ha argomenti per impedirne la candidatura. E infatti è sempre più vicina la candidatura del leader azzurro, che ha altissime chances di essere ufficialmente lanciata dal centrodestra dalla quarta votazione in poi, per saggiare quel mondo di mezzo, quel mare senza timonieri del gruppo misto, sulle sue reali chances di superare la soglia necessaria.
 

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