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Draghi si difende ma non spiega il suo decreto

Franco Bechis
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Mario Draghi ha chiesto scusa per essere sparito senza uno straccio di spiegazione dopo l’approvazione il 5 gennaio scorso di un decreto sulla pandemia fra i più pesanti adottati nel mondo occidentale (quello che obbliga al vaccino gli ultracinquantenni), e ieri ha parzialmente riparato fornendo qualche spiegazione sia pure in ritardo. Con lui erano anche gli altri ministri padri di quelle norme come il titolare della Salute, Roberto Speranza e quello della Pubblica Istruzione, Patrizio Bianchi.

Non essendo state fatte domande di dettaglio sui contenuti del decreto legge, non sono state fornite le risposte necessarie, e lì la responsabilità è anche di noi giornalisti. Segnalo ad esempio due questioni che non hanno ancora risposta: per gli ultracinquantenni adesso obbligati al vaccino, è escluso ora il consenso informato per autorizzarlo? Ed eventuali danni da reazioni avverse (fosse anche inabilità al lavoro ad esempio per uno sportivo), vengono automaticamente risarcite da parte dello Stato? Il decreto nulla dice in proposito, e soprattutto nulla (manco un euro) stanzia o accantona per l’eventualità. Ma certo sarebbe grottesco sottoporre a chi è obbligato per legge a vaccinarsi anche un modulo di consenso a farlo, tralasciando quell’«informato» che è scritto lì per prassi ma non ha alcuna corrispondenza nella realtà. Per altro le autorità sanitarie italiane da fine settembre non diffondono più i numeri e le specifiche delle reazioni avverse al vaccino, e quindi nessuno può essere informato dei rischi, visto che vengono tenuti nascosti. Si può ragionare solo sulla esperienza comune che si ha: raramente si trova intorno a noi nella vita di tutti i giorni qualcuno la cui salute sia stata rovinata seriamente dal vaccino Covid (al massimo qualche linea di febbre, e qualche dolore per 24-36 ore), mentre è esperienza quotidiana avere nel giro delle proprie conoscenze qualcuno che si è contagiato e purtroppo anche qualcuno che sia finito in ospedale o terapia intensiva. L’esperienza vale, e per questo molti si sono vaccinati.

La seconda incognita di quel decreto resta quella delle regole un po’ astruse sulla scuola in presenza e la didattica a distanza: nelle superiori a tre contagi si continua in classe solo con chi è stato vaccinato da meno di 120 giorni e chi ha avuto la terza dose, mentre tutti gli altri vanno a casa. Siccome la data di ultima vaccinazione non è visibile nella unica pagina di green pass mostrabile in pubblico, chi è in grado di dividere fra più o meno di 120 giorni e come senza violare i dettati della legge sulla privacy e le numerose pronunce del Garante in materia?
Queste risposte non sono arrivate, e una volta di più troverei doveroso che con o senza domande testi che contengono norme così incisive sulla vita quotidiana di tutti vengano spiegati agli italiani da chi ci governa nel dettaglio. Draghi e i suoi ministri sono stati chiari invece sulla linea politica adottata in questo come nei precedenti decreti: non si chiude nulla, e se proprio deve chiudere qualcosa l’ultima a farlo sarà la scuola. Prima debbono chiudere tutte le attività ludiche, i ristoranti, i bar, i servizi alla persona, le cose che nella testa del premier sono meno necessarie. Allo stesso tempo però il capo del governo è cosciente che comunque l’andamento della curva dei contagi farà andare in dad una parte rilevante del sistema di istruzione, ma si consola: «Almeno non sarà tutta».
Posso obiettare che risulta incomprensibile però avere puntato prima di Natale sulla vaccinazione dei bambini (che serviva a tenere aperte le scuole in sicurezza), e poi averla dimenticata lì tanto che quasi nessun genitore ha preso appuntamento per le dosi, puntando all’improvviso sulla dose agli ultracinquantenni. Se la scuola doveva stare aperta nei tuoi piani in sicurezza con gli alunni vaccinati e non lo sono, allora è ovvio che la scuola è stata riaperta senza sicurezza.

Ma la linea politica di Draghi e dei suoi ministri è anche un’altra: inseguire i no vax, ritenendoli responsabili della curva pandemica. Per dimostrarlo il ministro della Salute ha sventolato un grafico dell’Iss in parte palesemente errato (si confonde la platea dei vaccinati da meno di 4 mesi con quella da più di 4 mesi), in parte con numeri del tutto diversi da quelli appena forniti dallo stesso Iss nel suo bollettino di sorveglianza settimanale pubblicato il 5 gennaio sullo stesso identico periodo (12 novembre- 12 dicembre). Ho chiesto spiegazioni di questa macroscopica diversità dei dati. Ieri non sono stati in grado di fornirla, la attenderò oggi.

È vero che le terapie intensive sono occupate ai due terzi da non vaccinati e per un terzo da vaccinati con varie dosi. Gli ospedali però hanno riempito i reparti Covid con lo stesso numero di non vaccinati e di vaccinati, e se il tema del governo è quello di non mandare in tilt il sistema, dimenticando altre malattie gravi, non ci si può occupare solo di non vaccinati perché il problema sarebbe risolto a metà e con la crescita esponenziale di Omicron (più leggere di Delta, ma per i numeri assoluti ne manda tanti in ospedale e terapia intensiva) non sarebbe affatto risolto da qui a un mese. Allora bisogna occuparsi con la stessa forza dei vaccinati a cui è scaduta la protezione ma non il green pass. Ed essere realisti sul punto: servono dosi adeguate dei vaccini che hanno già fatto. Oggi accade che a chi ha fatto due dosi di Pfizer venga proposta una terza dose di Moderna, perché è il solo vaccino a disposizione. I più protestano per il tradimento, ma poi non scappano. Non credo avverrà la stessa quando dopo due dosi di Pfizer il governo offrirà la terza di Novavax, un vaccino totalmente diverso per cui non esiste un solo dato scientifico sull’abbinamento a quelli a Mrna. Insomma, bene avere capito che gli italiani hanno diritto a una spiegazione di quel che impone il governo (che non è fatto di scienziati) alla loro salute. Ma restano ancora non pochi buchi neri in quello che è stato detto ieri a parziale riparazione.
 

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