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Dai trionfi al destino in bilico. Mario Draghi e Roberto Mancini in parallelo

Riccardo Mazzoni
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Nelle classifiche del 2021, Draghi e Mancini sono stati due protagonisti indiscussi: il premier facendo recuperare posizioni all'Italia nella considerazione internazionale, con tanto di sigillo del Financial Times, e il ct portando la Nazionale sul tetto d'Europa dopo ben 53 anni di tentativi a vuoto. Due destini incrociati in positivo, insomma, che hanno contribuito a risollevare il morale del Paese nel secondo, durissimo anno del Covid, e simboleggiati dalle foto-opportunity a Palazzo Chigi col trofeo in mano. Le loro stelle però, sul finire dell'anno, si sono appannate, come se la congiunzione astrale fosse improvvisamente cambiata per entrambi, tanto che il loro futuro ora è appeso a due complicati playoff: quello del Quirinale e quello per i Mondiali. SuperMario, dopo quasi un anno di governo, resta al primo posto negli indici di gradimento degli italiani, e non era affatto scontato in tempi in cui le leadership si bruciano alla velocità dei cerini, eppure per lui il 2022 ha cominciato a prendere le sembianze di un autentico rebus. Resterà a Palazzo Chigi o salirà sul Colle? Il dilemma sta dilaniando i partiti, che non vedono l'ora di riprendersi il proscenio dopo il nuovo commissariamento, anche se è materia esplosiva e quindi da trattare con estrema cautela, perché Draghi resta comunque il baricentro di un complicato equilibrio politico-istituzionale, con implicazioni comunitarie non indifferenti, e correre il rischio di rimuoverlo da tutte le caselle sarebbe un azzardo.

 

 

 

È indubitabile però che l'immagine del premier sia stata scalfita da quando, iniziata in modo subliminale la corsa al Colle, si è diffusa la sensazione di un allentamento del decisionismo di Palazzo Chigi nel tentativo di non scontentare nessuno. L'altro indizio, in questa direzione, è stata la gestione della legge di bilancio, partita con il solenne impegno di impedire i consueti assalti alla diligenza e poi finita invece nella palude delle elargizioni, tanto da ricordare molto da vicino le leggendarie leggi-mancia che saziavano tutti gli appetiti parlamentari. La conferenza stampa di fine anno, poi, con il mezzo passo falso dell'autocandidatura al Colle, è stata la ciliegina su una torta di fine anno avvelenata, che ha provocato la rivolta della sua maggioranza. Il «nonno al servizio delle istituzioni» resta così tra color che son sospesi, in attesa che il Parlamento scelga il nuovo presidente. Una condizione paradossale per l'uomo della provvidenza.

 

 

 

Come paradossale è la situazione di Roberto Mancini: dopo aver guidato la Nazionale a una vittoria clamorosa quanto insperata nell'Europeo di calcio, che gli è valso il riconoscimento di miglior allenatore del 2021, avendo fallito la qualificazione diretta al Mondiale del Qatar, ora è chiamato a una inopinata prova del riscatto. In caso di sconfitta ai playoff di marzo, l'Italia mancherebbe infatti per la seconda volta di fila l'appuntamento dei Mondiali, e per lui questa resterebbe una macchia indelebile. Una sventura alla Ventura, per intenderci. Dopo l'irresistibile cavalcata verso il trionfo di Wembley, la sorte sembra avergli voltato le spalle: a qualificazione data ormai per acquisita, nel doppio confronto con la Svizzera gli è andato tutto storto, con i due rigori falliti da Jorginho. Il suo sogno dichiarato è l'accoppiata Europeo-Mondiale, ma prima bisogna arrivarci, e bisognerà passare da Cristiano Ronaldo. Non propriamente una passeggiata, Eupalla permettendo. Ora resta solo da vedere se - e in che modo - quelli di Draghi e di Mancini resteranno due destini incrociati, anche se i fasti del 2021 sembrano ricordi lontani.

 

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