Hoara Borselli contro gli opportunisti: "Va bene una donna al Quirinale, ma non sia per le quote rosa"
L'addio di Sergio Mattarella apre ufficialmente la corsa al Colle. In piedi con alle spalle il giardino illuminato, il capo dello Stato si è congedato agli italiani tracciando i ritmi e l'identikit del suo successore, sui valori dell'unità istituzionale e morale. Quella delineata è una prima strada dove si rincorrono nomi, prese di posizioni su ciò che l'Italia dovrà affrontare con un nuovo inquilino al Quirinale. Ma si tratta solo di suggestioni. Tutto sarà meno adombrato intorno al 10 gennaio, quando anche alla luce dei dati del contagio, si capiranno meglio le intenzioni dei partiti. In questo scenario di condizionamenti e interpretazioni, emerge la figura della donna come possibile scelta e viene subito da porsi un domanda: c'è veramente una candidatura femminile al Colle che potrebbe far convergere le varie forze politiche senza scadere nello stucchevole elogio delle parità di genere, delle quote rosa, del sensazionalismo da notizia? Il leader dei 5Stelle, colui che è passato da essere l'avvocato del popolo all'avvocato del populismo, sul Colle lancia il suo spot promozionale «una donna al Quirinale». Un'affermazione buttata lì, senza alcun riferimento a nomi o profili che possano ricondurre a una figura femminile che soddisfi i requisiti necessari per ricoprire tale carica. Una boutade più utile ad accattivarsi il plauso di femministe e sostenitrici delle quote rosa, che la reale convinzione che al Colle sia necessario che spicchi la competenza a prescindere dal sesso di chi la porterà in dote.
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Prosegue quindi la politica dei 5Stelle basata sul qualunquismo, che rema nella direzione opposta al concetto di merito, di capacità e di alto profilo e che utilizza la donna solo per un mero scopo elettorale. Nessun nome è stato pronunciato nonostante ci siano donne meritevoli di ricoprire tale incarico. Il silenzio che l'ex premier ha fatto calare sull'identikit del suo ideale femminile al Colle, da una parte rappresenta una semplice manovra di distrazione di massa dal flop delle urne e dalla debacle dai sondaggi e dall'altra una strategia per sgombrare il campo da due candidati forti che non apprezza: Berlusconi e Draghi. Che il dibattito sull'ipotesi di una donna al Quirinale sia più vivo che mai lo dimostrano le ultime dichiarazioni rilasciate dal vicepresidente dei Vescovi, Monsignor Antonino Raspanti, all'Adnkronos. Dopo una sequela di belle parole su quanto sia importante non farne una questione di genere, sull'importanza di un Presidente «coraggioso», capace di evitare «spaccature» e ricucire «frammentazioni», anche il Monsignore cade nella retorica della quota rosa al potere sul finale della sua intervista. «Io ritengo che vada benissimo sia un uomo che una donna, anche se non ne faccio una questione di genere, anche se pure ha un suo valore come battaglia di parità per le donne e ritengo che in molti campi ci sia una non facilitazione della donna». Un panegirico che porta al solito punto di caduta, ovvero che va bene tutto, ma una donna al Colle sarebbe un segnale forte per quella battaglia di parità, tanto cara alle femministe nostrane.
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Su un possibile nome di donna al Colle è arrivato puntuale e immancabile il manifesto delle femministe di casa nostra, donne del mondo della cultura e dello spettacolo che hanno sottoscritto l'appello: «Tra poco sarete chiamati ad eleggere il Presidente della Repubblica, e crediamo sia giunto il momento di dare concretezza a quell'idea di parità di genere, così tanto condivisa e sostenuta dalle forze più democratiche e progressiste del nostro Paese. Vogliamo dirlo con chiarezza: è arrivato il tempo di eleggere una donna. Si parla di democrazia dei generi ma da questo punto di vista l'Italia è una democrazia largamente incompiuta, tanto più rispetto a paesi come Germania, Gran Bretagna, Austria, Belgio, Danimarca, Islanda, Norvegia, Finlandia». Il termine democrazia di genere è semplicemente aberrante. Saremo tutti ben felici se una donna arrivasse al Colle, ma non perché sia un atto dovuto per compensare una parte mancante,bensì per riconosciute competenze.
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