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Quirinale, "perché il momento è propizio" L'assist a Silvio Berlusconi: così il Cav vede il Colle
Il clima è quello che è, la liquidità degli assetti interni ai partiti si coglie nel disorientamento interno del Movimento 5 Stelle (leggere, per credere, la durissima intervista di Vincenzo Spadafora al Corriere della Sera, zeppa di critiche verso Giuseppe Conte), e l’ennesima autocoscienza del PD che per la prima volta dalla Seconda Repubblica non acchiappa il bandolo della matassa per il Quirinale.
Il Mattarella Bis appare oramai solo un’ipotesi di scuola, la carta Draghi al momento è di difficile incastro, così come quella Giuliano Amato. Grande è la confusione sotto il cielo, la situazione per Berlusconi è eccellente. O quasi. Proprio nella fragilità del ventricolo sinistro del quadro politico, dunque, si rafforza l’agonismo del fondatore di Forza Italia. Che ci crede, e fa correre il pallottoliere ideale che, secondo alcuni rumors, potrebbe contare una cinquantina di voti mancanti, da cogliere tra fuoriusciti dei partiti avversari confluiti nel misto, e possibili parlamentari in vena di frecciate ai propri leader. Il presupposto, però, è che, al contrario del centrosinistra, il centrodestra sia compatto. Da qui il lungo lavoro telefonico partito nelle scorse ore, che da Arcore raggiunge come prima cosa i deputati e i senatori azzurri.
Per prefigurare una candidatura che è ancora non ufficiale, ma molto solida nelle intenzioni e nel sentiero tracciato, assicurandosi, innanzitutto, l’appoggio della truppa domestica. E poi ci sono i segnali che partono a mezzo agenzie e interviste. C’è Gianfranco Rotondi, azzurro di provenienza democristiana, il quale da giorni rivendica una linea possibilista sulla conquista berlusconiana del Colle.
C’è il leader dell’Udc Lorenzo Cesa, che in un’intervista al Mattino sottolinea il “dovere di riconoscenza” della coalizione verso Berlusconi. E il senatore di Forza Italia Maurizio Gasparri che tributa al leader azzurro la fondazione del centrodestra, il cui sostegno è stato fondamentale per l’esperienza politica e istituzionale di molti esponenti. Insomma, serve serrare i ranghi in un contesto irto di asperità. Il passaggio è strettissimo, perché scivolare da “candidato vero” a “candidato di bandiera” vanificherebbe tutta l’operazione.