Tutti ai piedi di Mario Draghi, senza rispetto per la Costituzione. E spunta pure Amato part-time per favorirlo
La Repubblica italiana ai piedi di Mario Draghi. Tutto per il premier, qualunque suo desiderio va realizzato senza se e senza ma. È l'incredibile condizione in cui ci troviamo ad una mesata circa dall'elezione del successore di Sergio Mattarella. «Non è che ci pianta in asso e se ne va?», è la vulgata lacrimevole messa in giro ad arte. Come se non valesse più il vecchio detto che recita che tutti sono necessari ma nessuno è indispensabile. Conciliaboli fitti in qualunque palazzo per trovare una soluzione al problema Draghi. Ciambellani di corte con le ciglia aggrottate, tutti impegnati nel chiedersi come fare. Perché sognano per le loro carriere, sette anni di buone intenzioni soprattutto per se stessi. Costoro - come tutti ormai - sanno che il premier al Quirinale ci vuole andare. Ma non tutti, tra quelli che lo dovranno votare, ce lo vogliono mandare. Da Santo subito come appariva all'inizio del mandato di governo, è diventato come Mario Monti, insopportabile nella gestione del potere. E non tutti sono disponibili a lasciarlo giocherellare contro i partiti. Altri sette anni? Ma quando mai... E così i cortigiani si industriano per scansare i problemi. Con l'aiuto di un giornalismo imbevuto di cloroformio.
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La Stampa ieri ne è stato un modello con una serie di ghirigori dedicati a Giuliano Amato: la soluzione sarebbe lui, un paio d'anni al Colle - «li farebbe volentieri» è il tono dell'articolo, quando altri invece dicono che per una questione di dignità non accetterebbe mai un mandato dimezzato, e poi via libera alla presidenza Draghi. O al reame, forse suona meglio. Insomma, Amato o qualcosa di simile per dare tempo a Draghi di finire il suo lavoro. Il tutto senza alcun rispetto per le forme della democrazia - il voto popolare diventa un optional, roba da sondaggi - né tantomeno per la Costituzione della Repubblica. Che uscirebbe violentata di brutto: un altro senatore di diritto e a vita per due anni di vita beata al Colle in attesa di Mario Draghi. Il bel mondo antico che si ciba dei privilegi offerti dalla Carta. Ma probabilmente, nonostante il curriculum squadernato da La Stampa, Giuliano Amato - come gli capita spesso negli ultimi decenni - non andrà affatto al Colle. E chi lo sbullona dalla sedia? I suoi più stretti amici sanno che non ci pensa proprio a mollare anzitempo e quel settennato se lo farebbe volentieri, invece. Quindi, guai a fidarsi, dicono i ben informati che non vogliono giocarsi male la carta Draghi. Anche perché se ci sono figure da spendere per la Presidenza della Repubblica non ha alcun senso utilizzarle part-time. È un'offesa a loro, scambiati come assatanati di potere e di quella voglia di apparire che certo non fa di un politico uno statista; ed è inelegante anche nei confronti del popolo italiano che già mal sopporta un Capo dello Stato ancora nominato dai partiti, tanto più se con comode rate biennali. Cosa diversa sarebbe se si trattasse di un presidente che fosse disponibile a mollare anzitempo in presenza della riforma dell'elezione diretta e popolare del Capo dello Stato. Ma a Draghi non servirebbe, figurarsi costringerlo a fare una campagna elettorale.
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Ecco, tutto ruota sempre attorno a lui, al premier che si è scocciato di fare il premier ma che ha sbagliato le sue mosse. Se i partiti sembrano (eufemismo) avercela con lui, è perché lui si ostina a non rendersi conto che prima di salire lassù, c'è bisogno di chiudere una pratica quaggiù, a Palazzo Chigi: operazioni al buio non ne fa più nessuno. Premiere ministri vanno scelti assieme e non più solo da Draghi. Soprattutto se Mattarella se ne va per davvero. La lettera della Costituzione prevede che il governo sia proposto dal premier e nominato dal Capo dello Stato, ma c'è un passaggio di non poco conto che stavolta riemergerebbe con forza: il Parlamento vota e non più secondo i desiderata di chi vorrebbe comandare a tutti i costi, e «contro» i partiti. La Costituzione non può essere piegata ad interessi di parte, nemmeno quelli del capo del governo che vuole traslocare al Quirinale. Anche perché, se non si capisce questo, la domanda successiva è ancora più chiara: è Draghi al servizio della Repubblica italiana (il famoso «nonno») o deve essere la Repubblica italiana al servizio di Draghi? Le istituzioni con le porte girevoli sono sempre fastidiose e in questo caso, senza il consenso popolare, rischiano di apparire anche dannose. La carica più importante dello Stato non può essere messa nella condizione di aspettare i comodi di Mario Draghi. Non dovrebbe essere difficile capirlo.
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