Draghi sfiducia Draghi. Così rischia di mandare in crisi il suo stesso governo
Mario Draghi ha lanciato ufficialmente la sua candidatura alla successione di Sergio Mattarella in modo certo felpato, ma chiaro ben più di quel che ci si sarebbe attesi. Il presidente del Consiglio ha spazzato ogni dubbio rispondendo alla prima domanda che gli è stata fatta alla conferenza stampa di fine anno, e ci ha pure scherzato sopra: “Se rispondo poi non me la fate più, vero?”. Certo, Draghi non ha detto: “Mi candido alla presidenza della Repubblica”, ma l'ha fatto capire sostenendo di avere realizzato gli obiettivi che gli furono dati a febbraio come premier, e che d'ora in avanti deve procedere tutto in automatico e la macchina è in grado di farlo chiunque sieda sulla tolda di comando. E ha aggiunto: “sono un uomo- se volete un nonno- al servizio delle istituzioni”.
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Come nonno Draghi è sembrato piuttosto in forma , e assai più in palla di giovanotti suoi predecessori. Non eravamo abituati a sentire rispondere a più di 40 domande in un'oretta e mezza, che era più o meno il tempo che ci mettevano i suoi predecessori a fare una introduzione e al massimo a rispondere a un paio di domande. Draghi è uno che bada al sodo, magari taglia un po' troppo con l'accetta le risposte che dà, ma non si può dire che meni il can per l'aia portandoti a spasso il più a lungo possibile per eludere le domande e lasciare l'interlocutore così intontito da non rendersi più conto se una risposta è o meno arrivata. Per dirla in breve: l'esatto opposto di Giuseppe Conte.
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Grazie a questa franchezza è emerso anche questo suo desiderio di salire sempre più in alto, portato lassù dove oggi è Sergio Mattarella dalla stessa maggioranza che lo ha voluto a palazzo Chigi. L'aspirazione è legittima, e la candidatura non pecca di autorevolezza. La prospettiva sembra naturale: la maggioranza politica che sostiene il suo governo è larghissima e alla fine ha saputo stare insieme anche in momenti molto difficili, come si può negare che Draghi sia il candidato più naturale e forte per l'elezione alla presidenza della Repubblica? Agli occhi di Draghi è naturale che il quadro sia questo, ma non è così semplice e in discesa come il candidato sembra ritenere. Perché quel passo compiuto ieri pur avendo qualche chance per essere compiuto fino a raggiungere l'obiettivo desiderato, ne ha altrettante se non di più di fare rovinare il quadro politico attuale lasciando assoluta incertezza sul Quirinale, ma altrettanta sul futuro di questo governo.
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Ieri la mezza autocandidatura non è stata accolta dai leader politici che sostengono il governo come una liberazione, con applausi e fuochi di artificio per festeggiare, anzi. Sono stati tutti zitti, ma facendo trapelare grandi preoccupazioni sulla prosecuzione della legislatura e la tenuta del quadro politico con un governo che privo di Draghi potrebbe franare.
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L'attuale premier gode sicuramente di buona stampa (si è visto ieri con le domande non certo ficcanti e talvolta imbarazzanti nel tono mieloso ricevute in conferenza stampa), di grande prestigio internazionale e di gradimento nei sondaggi fatti in questi mesi. Ma resta un'anomalia politica, così come lo è la sua maggioranza emergenziale. Non è la normalità avere premier tecnici come accade da anni benedetti da tutto meno che dalla scelta di elettori, e non lo è nemmeno avere forze politiche con visioni della società diverse se non diametralmente opposte costrette a unirsi per l'emergenza. Solo questa può giustificare quel percorso, e se Draghi salisse al Quirinale sarebbe come certificare la fine della stessa: ci fosse ancora lui non dovrebbe staccarsi nemmeno un secondo da palazzo Chigi. E' una contraddizione evidente avere appena allungato lo stato di emergenza nazionale fino al 31 marzo 2022 e poi presentarsi ieri come ha fatto il premier sostenendo che il suo mandato è di fatto compiuto e che la macchina amministrativa può procedere ora con il pilota automatico innestato rendendo del tutto indifferente la scelta di chi sieda sulla poltrona da presidente del Consiglio. O siamo in emergenza, o non lo siamo e allora ci siamo detti e raccontati un bel po' di panzane.
E' assai improbabile che Lega, Forza Italia, M5s e Pd possano restare insieme in un governo diverso da quello attuale, sostituendo il premier con un ministro qualsiasi dell'attuale esecutivo (per altro nessuno scelto dai leader attuali dei partiti) come se questo fosse una banalità. Non lo è, e il rischio che legislatura frani con l'elezione del nuovo presidente della Repubblica è altissimo. Lo sa bene chi oggi deve fare quella scelta, e quindi la carta Draghi sul Colle oggi è certamente scoperta, ma non è ancora quella vincente: la partita a poker è solo all'inizio...