retroscena di bisignani

Per salire al Quirinale si rischia il Vietnam. Mario Draghi smania, no di Sergio Mattarella: sarà una guerra

Luigi Bisignani

Caro direttore, toro scatenato, Mattarella come De Niro. Il presidente della Repubblica sbuffa sul Colle e ormai ha gettato la spugna. Anche il segretario generale Ugo Zampetti e i suoi Zampettini hanno capito che, per restare nella Plaza de Toros del Quirinale, devono inzigare per il loro torero giusto (Cartabia? Gentiloni?). Dopo la standing ovation a La Scala e la mezza confessione da Bergoglio, questavolta Mattarella è stato categorico perfino, stando ai rumours, con la sua discretissima «First Daughter», Laura. Il ragionamento del Presidente è consono a quello di un grande vecchio Dc che conosce bene le trappole della politica. Proviamo a immaginarlo a parlarsi davanti allo specchio, come nel famoso monologo De Niro-La Motta del film di Scorsese, mentre si fa la barba e si phona i capelli bianchi. «Sergio, chi te l'avrebbe mai detto, dopo una vita così dura, con tanti dolori e misteri e pur sempre così discreta. Ricordi che fatica i primi anni al Quirinale a sorridere ed accarezzare bambini? Eppure, ce l'hai fatta a diventare il nonno Libero amato da tutti gli italiani. Te ne esci di scena ora, al massimo della popolarità, diventi addirittura emerito come Ratzinger, così puoi girare l'Italia celebrato come Santa Rosalia, patrona della tua Palermo. Di contro, se accogli l'invito a restare e magari alla prima votazione non ti votano neppure tutti, poi fra due anni quegli stessi che oggi ti portano in spalla, ti butteranno giù. E te ne devi pure andare di corsa, con il rischio di una campagna denigratoria ignobile, come quella fatta contro Giovanni Leone o Francesco Cossiga, che volevano far passare per matto, oppure quella contro Giorgio Napolitano, quando a un certo punto non è servito più. Fatti sotto, campione, sei il più forte, cerca di usare questo grande prestigio che hai avuto in sorte per piazzare come tuo successore la carissima Marta Cartabia, che ti è amica sin dai tempi della Corte costituzionale, o Paolo Gentiloni, così almeno i tuoi banderilleros, Ugo, Simone, Daniele, Gianfranco, Giovanni se ne possono restare tranquilli al Quirinale per continuare indisturbati la loro corrida tra Governo e apparati dello Stato».

 

  

 

Ma questa elezione al Colle è ormai uno Squid Game, con Draghi che smania di scappare da Palazzo Chigi per l'inadeguatezza dei suoi ministri non più migliori, da Giovannini a Colao, passando per Cingolani. L'attuale Parlamento, poi, è come la Libia con i vari capataz che non controllano più le loro milizie. Quello che sta succedendo con la Legge di bilancio è la perfetta fotografia della situazione, con Aula e Commissioni continuamente sconvocate. Neppure con «Giuseppi» si era arrivati a tanto... In vista del grande assalto al Quirinale, diamo uno sguardo alle varie fazioni. Sulla carta, la più numerosa è pur sempre rappresentata dal Movimento 5 Stelle, guidato da Conte, che non riesce a trovare la sua identità nemmeno davanti allo specchio del suo ufficetto da 10 mila euro al mese, che perde pezzi ogni giorno ed è perfino sbeffeggiato da Beppe Grillo che, se ha poco seguito tra i parlamentari, ha invece molta influenza sulla base. Luigi Di Maio, con la tosta neosposa Laura Castelli, D'Uva, Battelli e la new entry Virginia Raggi da buttare all'uopo nella mischia, ha una trentina di miliziani e ormai un bel peso più negli apparati dello Stato, che lo apprezzano, che all'interno del Parlamento. C'è poi la corrente «arcobaleno» ambientalista, eutanasista e Lgbtq+ di Roberto Fico con una decina di accoliti, che però non ha ancora capito se stare dalla parte di Conte-sì o Conte-no. Infine, un gruppetto silenzioso e agguerrito di quelli che si definivano una volta «guerrieri»: Sibilia, Gubitosa e Liuzzi che, giorno dopo giorno, raccattano adepti.

 

 

Il parco buoi del Pd che, dal canto suo, ha un condottiero che sembra venire dai paracadutisti francesi, Enrico Letta, disarcionato da tutti gli altri capi corrente a partire da Dario Franceschini, sbeffeggiato perfino da Roberto Bolle, fino al trio medusa Guerini-Lotti-Margiotta che ancora non hanno capito se sono ex comunisti, democristiani, centristi o, nonostante il numero formidabiledi parlamentari, solo fancazzisti uninfluencers. A proposito di fancazzisti, brilla la stella del «navigator» Andrea Orlando, con le sue girls, la cui corrente «fluida» naviga verso l'estrema sinistra ed è stata soprannominata amichevolmente «fru-fru», intorno alla quale scodinzola, cercando di smarcarsi, tal Peppe Provenzano. Altri due cacciatori di dote, come il governatore dell'Emilia-Romagna Bonaccini e il sindaco dei sindaci Beppe Sala, stanno cercando come meglio assicurarsi un futuro. Mentre due vecchi capi indiani come D'Alema e Bettini, con la loro intelligenza, mandano segnali di fumo che vengono raccolti. C'è poi Italia Viva di Renzi e della Boschi, non si sa se più vivi a destra o a sinistra, detestati a torto dall'umanità intera, ma a cui tutti comunque guardano invidiosi perché temono che alla fine la soluzione del rebus Quirinale passerà, ancora una volta, come fu con Mattarella, proprio da loro, magari mettendo insieme i tanti Toti, Brugnaro, Biancofiore, in perenne tuta mimetica e i «misti» che più misti non si può. Forza Italia è da anni come il Libano con il vecchio re zio Silvio che, come l'Enrico IV di Pirandello, si gioca l'ultima partita per il Quirinale, sguinzagliando i suoi paggetti (Tajani, Giacomoni, Valentini, Barelli), alcuni anche cattivissimi (Ronzulli docet). Mentre l'ala governativa del partito composta da Gelmini, Carfagna e Brunetta cerca di capire come rendersi utile al Cavaliere evitando di spaccare tutto, Quirinale e Palazzo Chigi insieme, e tornare alle urne.

 

 

Quello che vogliono invece Giorgia Meloni, l'unica con un battaglioncino di parà compatto, e Matteo Salvini. Ma la Lega, se non proprio il Libano, sembra un Vietnam. Con un partito-spezzatino diviso tra quello dei governatori di regione (Fedriga, il più ambizioso, Zaia e Fontana) e quello di Giorgetti, filovaticano, ma pigro e travolto dai tavoli rovesciati del Mise, con il giovane vicesegretario Crippa che gli fa da trombettiere. Ma se non si taglia la testa al toro con un accordo, sempre più difficile, per Draghi, che è in ritirata da Palazzo Chigi per colpa di un esercito con tanti proiettili di marca Pnrr che non sa nemmeno usare, ogni gruppetto di sabotatori diventa decisivo. Perché, come nel conclave, il primo che raccoglie una cinquantina di voti-civetta può spiccare il volo. È successo così per un certo Oscar Luigi Scalfaro, sicuramente il Presidente della Repubblica meno amato, e anche per Bergoglio, venuto dalla fine del mondo. Repetita non iuvant.