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Giuseppe Conte smonta tutte le stelle. "Stop ai referendum", sconcerto e crepe tra i grillini

Carlo Solimene
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Ma è davvero Giuseppe Conte il leader giusto per il Movimento 5 stelle? Il dubbio sta cogliendo più d'uno nella pattuglia parlamentare grillina. Non perché ci sia chi ne mette in dubbio la popolarità, che resta alta nel Paese nonostante l'avvocato abbia lasciato Palazzo Chigi da quasi un anno. Ma perché nulla o quasi di quel che Conte dice o fa da capo politico ricalca le parole d'ordine della creatura di Grillo e Casaleggio. L'ultima sortita, da questo punto di vista, è stato il colpo inferto dall'ex premier alla democrazia diretta. «I referendum sono fondamentali - ha detto Conte - ma su alcune materie ci sono dei problemi. Penso all'eutanasia o alla legalizzazione delle droghe leggere. Con il referendum si può dire semplicemente sì o no, invece sono materie più complesse sulle quali la politica deve fare la sua parte». Una posizione tutto sommato ragionevole, se non fosse che proprio sulle consultazioni popolari riguardanti fine vita e legalizzazione si sono esposti - con firme e accorati appelli - personaggi di primo piano del Movimento come lo stesso Grillo e l'ex sindaca di Torino Chiara Appendino. Al punto che, dopo l'ennesima abiura, nelle chat dei parlamentari qualcuno si è sfogato: «Non ci posso credere». Il malcontento, peraltro, era stato già fomentato da altri episodi recenti.

 

 

Nelle ultime settimane i pentastellati hanno prima sotterrato il no al finanziamento pubblico della politica, accedendo al sistema di ripartizione del 2xmille, e poi cancellato quel po' di giustizialismo che restava astenendosi sul conflitto di attribuzione sollevato dalla Giunta delle immunità del Senato sul caso Renzi. Al punto che Conte, vista la marea montante di polemiche, si è precipitato a chiarire che quella sarebbe stata solo un'astensione «tecnica» perché i suoi parlamentari non avevano potuto vedere tutte le carte, «ma in Aula voteremo sicuramente no». Posizione assai cervellotica, visto che in realtà quelle carte ancora non sono state viste. Non si poteva, a quel punto, votare «no» già in Giunta? Mistero. Come misteriose appaiono, a più d'uno, anche le parole al miele pronunciate dall'ex premier nei confronti di Silvio Berlusconi. Leader «di grande sensibilità» e che «ha fatto anche cose buone», ha detto «Giuseppi». Con conseguente rimbrotto da parte del giornale più contiano di tutti, «Il Fatto quotidiano». I giudizi tutto sommato assolutori pronunciati verso il Cav, peraltro, stanno dando spazio alla possibilità che, nel segreto dell'urna, ci siano grillini disponibili a fornire a Berlusconi un po' di quei voti che mancano per coltivare il sogno Quirinale.

 

 

Stando a quanto riferisce l'AdnKronos, un esponente governativo del Movimento avrebbe parlato di almeno 5 deputati pronti al «tradimento». Gregorio De Falco, ex cinquestelle, sempre all'AdnKronos avrebbe confidato che «Berlusconi può contare sull'appoggio di almeno 7 grillini alla Camera». I motivi di una scelta del genere potrebbero essere diversi. Magari qualcuno è stato avvicinato da emissari forzisti e ha ricevuto garanzie sul futuro politico. Più probabilmente, si ritiene che una candidatura ufficiale di Berlusconi sbarrerebbe la strada all'elezione al Quirinale di Mario Draghi e quindi al ritorno anticipato alle urne, e questo indipendentemente dalla possibilità del Cav di farcela realmente. Sensibilità che si registrano in ogni partito e che, tuttavia, nel Movimento sono moltiplicate. Perché il leader viene vissuto come un corpo estraneo e difficilmente riesce a portare a termine i propri progetti politici. Basti pensare a tutte le frenate sulla strada dell'alleanza organica col il Pd. L'ultima delle quali è la mancata adesione in Europa al gruppo dei Socialisti, perla quale ormai a Strasburgo sono scaduti i termini. Insomma, a seguire pedissequamente le indicazioni di Conte sono in pochi. E quei punti, ultimamente, sono anche piuttosto disorientati. 

 

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