Un museo per le opere di Montecitorio. La proposta del vicepresidente della Camera Fabio Rampelli
Un museo che raccolga le opere della Camera dei deputati, sia quelle di proprietà sia quelle prestate, in modo da renderle visibili a tutti. È la proposta lanciata dal vicepresidente della Camera, Fabio Rampelli. Come riportato da Il Tempo, infatti, i beni artistici presenti a Montecitorio al 31 dicembre 2020 sono 4.857, di cui 4.305 di proprietà.
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Nell'elenco ci sono 526 dipinti (a cui se ne aggiungono 552 prestati da musei e Soprintendenze), 82 busti, 92 sculture, 86 tra tappeti e arazzi, 98 reperti archeologici, 245 oggetti artistici di vario tipo e ben 3.176 tra disegni, stampe, incisioni, litografie e acquerelli. Ci sono quadri di Tiziano, De Chirico, Guttuso, Sironi, Severini, Carrà, Morandi e Pirandello.
«Sono opere meravigliose. Molte di queste tele, però, non sono godibili a tutti perché sono appese nelle stanze dei singoli deputati e le possono vedere solo loro spiega l'esponente di Fratelli d'Italia - Altre tele gigantesche, che riproducono eventi storici strabilianti, sono parzialmente visionabili perché, pur trovandosi nei corridoi, gli spazi sono talmente angusti che, anche posizionandosi con la schiena schiacciata contro il muro, non si riescono ad apprezzare. E questo è un altro peccato mortale. Siccome la cultura ha fatto passi da gigante ed è entrata nella sensibilità del popolo italiano, come dimostrano le file chilometriche per le mostre, penso che il varo di un museo nel quale esibire le opere custodite a Montecitorio possa essere non solo un vanto per la Camera dei deputati, ma porebbe anche essere una modalità per sostenere, in parte, i suoi costi. Perché se si dovesse dar vita a un museo, si potrebbe anche vendere un biglietto di accesso».
Un primo passo in questa direzione è stato fatto dal presidente della Camera Roberto Fico, che ha riunito nella sala Aldo Moro (ex sala Gialla) una decina di dipinti, tra cui la «Gioconda Torlonia», dimenticata per quasi cent' anni nell'ufficio di uno dei deputati questori. Nell'estate 2019 è stata restaurata su sollecitazione del senatore leghista Stefano Candiani e poi esposta, da ottobre 2019 a gennaio 2020, alla mostra «Leonardo a Roma» organizzata dall'Accademia dei Lincei in occasione del cinquecentenario dalla morte dell'artista.
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Il curatore della mostra Antonio Forcellino e la restauratrice Cinzia Pasquali, famosa in tutto il mondo per i suoi interventi sulle opere di da Vinci, sono convinti che la Gioconda di Montecitorio sia un quadro di grande valore, probabilmente eseguito dagli allievi di Leonardo, magari con la sua diretta supervisione. Nonostante ciò, la Galleria nazionale di Arte Antica - proprietaria del dipinto, concesso in deposito alla Camera nel 1925non ha intenzione di riprenderselo.
«Non sapremmo come giustificare la sua esposizione nel museo - spiega scettica la direttrice di Palazzo Barberini, Flaminia Gennari Santori- Abbiamo seguito con attenzione sia il restauro che l'esposizione. Le ipotesi, o meglio, le suggestioni della Pasquali e di Forcellino andrebbero confermate da altri restauratori e storici dell'arte. Ci interessa studiare il dipinto e fare indagini ulteriori. Io tuttavia penso che sia un'opera derivativa. La qualità è piuttosto scadente, non c'è restauro che tenga; anche se non sono un'esperta di Leonardo». Quanto all'idea lanciata dal deputato questore Francesco D'Uva (M5S) di organizzare un convegno di studio sulla «Gioconda Torlonia», la direttrice Gennari Santori puntualizza: «Non è questo il ruolo del questore della Camera. Ognuno faccia il suo mestiere».
Radiografie e analisi hanno svelato che c'è la "mano" di Leonardo
Comunque al museo del Prado di Madrid è in corso una mostra su un'altra «gemella» della Gioconda, considerata fino a un decennio fa una delle tante copie del capolavoro esposto al Louvre. Studi e analisi recenti hanno rivelato invece che probabilmente è stata eseguita nella bottega di Leonardo. «Io l'ho vista solo in foto, ma sembra avere un altro spessore e una maggiore qualità rispetto alla nostra Gioconda - spiega la direttrice di Palazzo Barberini - I colleghi del Prado, se hanno organizzato questa mostra, avranno le loro ragioni».
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