La storia della Gioconda a Montecitorio: dallo zio di Napoleone ai Torlonia, così è finita alla Camera
La «gemella» di Monna Lisa ha una storia lunga circa 500 anni, fatta di luci e ombre. La prima traccia pubblica risale al 1892, quando arriva alla Galleria nazionale d’arte Antica di Roma, proveniente dalla collezione Torlonia (nei cui inventari è documentata dal 1814); da qui l’appellativo di «Gioconda Torlonia». Dietro il telaio c’è un tagliando ingiallito del vecchio inventario del museo che riporta una serie di dati. Soggetto: «Copia della Gioconda», autore: «Copia dal Leonardo da Vinci», provenienza: «Torlonia», altezza: «0,70 metri», larghezza: «0,50 metri».
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L’opera, prima di tornare in Italia, si trovava in Francia, come testimonia il sigillo in ceralacca con le insegne imperiali di Napoleone, presente sul telaio. Probabilmente faceva parte della collezione del cardinale Fesch, zio di Bonaparte, vicino al ramo francese della famiglia Torlonia. Lo studioso Giuseppe Antonio Guattani, che si era occupato di redigere i documenti con le opere d’arte dei Torlonia fino al 1821, aveva attribuito il dipinto a Bernardino Luini, ma questo riferimento è scomparso negli inventari successivi. L'opera è citata in un commento all'edizione del 1851 delle «Vite» del Vasari, insieme con altre copie del capolavoro di Leonardo: «In Firenze in casa Mozzi; nel Museo di Madrid; nella Villa Sommariva sul lago di Como; presso il Torlonia a Roma; a Londra presso Abramo Hume, e presso Woodburn; e nell'Ermitage di Pietroburgo [...]e finalmente un'altra copia nella Pinacoteca di Monaco».
Il dipinto all’origine era su tavola (come tutti quelli del Cinquecento), solo a metà del Settecento è stato trasferito su tela, probabilmente in Francia, per evitare il deterioramento dell’opera. Lo attesta un cartiglio incollato al telaio, scritto in francese, che descrive il trasporto del quadro. La «Gioconda Torlonia» è stata esposta per la prima volta in pubblico, anche se solo per tre mesi (dal 3 ottobre 2019 al 12 gennaio 2020), nella mostra «Leonardo a Roma. Influenza ed eredità», organizzata dall’Accademia dei Lincei a Villa Farnesina per il cinquecentenario dalla morte dell’artista. Non si è acceso un dibattito della critica sulla paternità dell’opera perché lo scoppio della pandemia da Covid-19 e il successivo primo lockdown ha spostato l’attenzione sull’emergenza sanitaria.
Dopo la mostra la Gioconda è tornata nella stanza del questore di Montecitorio, Francesco D’Uva (M5S), che però ha deciso di privarsi della sua vista per esporla al pubblico. Lo scorso febbraio è stato lo stesso deputato ad annunciare l’iniziativa sul suo sito web: «Dal 1927 è conservata alla Camera una copia della Gioconda di proprietà delle Gallerie Nazionali di Arte Antica, in particolare proveniente da Palazzo Barberini a Roma, che è stata oggetto anche di un’importante mostra circa un anno fa all’Accademia dei Lincei. Si tratta di una copia realizzata nella bottega di Leonardo, forse addirittura con la sua diretta collaborazione – ha spiegato il questore di Montecitorio – Ho ritenuto che fosse importante valorizzare e rendere fruibile a tutti questa tela così significativa. La Camera dei deputati è il luogo adatto per farlo, considerando che riceve oltre 200 mila visitatori l’anno, tra i quali più di 60 mila studenti. Mi sono attivato quindi per il trasferimento nella Sala Aldo Moro, tra le più importanti sale di rappresentanza della Camera, assieme alla Sala della Lupa e alla Sala della Regina, una volta che termineranno i lavori di restauro».
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Oggi la «gemella» di Monna Lisa si trova lì: nella «Sala Aldo Moro» di Montecitorio (detta una volta «Sala gialla»), al momento ancora chiusa al pubblico causa Covid. Proprio Moro, insieme al deputato dell’Assemblea Costituente Concetto Marchesi, è considerato il «padre» dell’articolo 9 della Costituzione: il principio con cui la Repubblica «tutela il paesaggio ed il patrimonio storico ed artistico della Nazione».