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Gioconda di Montecitorio, le radiografie hanno svelato che c'è la "mano" di Leonardo da Vinci

Valeria Di Corrado e Alberto Di Majo
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Ci potrebbero addirittura essere le pennellate del maestro Leonardo da Vinci (o nella peggiore delle ipotesi di uno degli allievi della sua bottega, da lui diretti) sulla Gioconda «dimenticata» di Montecitorio, lasciata per quasi cent’anni nelle stanze dei parlamentari a prendere polvere. È una scoperta che ha dell’incredibile quella emersa durante il restauro dell’opera, iniziato nell’estate del 2019 nelle stanze del Viminale, in vista della mostra organizzata a Roma, a Villa Farnesina, per il cinquecentenario della morte dell’artista.

A dare nuova luce al dipinto, facendo spiccare i suoi colori originali, è stata Cinzia Pasquali, tra le restauratrici più famose al mondo; esperta, in particolare, dei capolavori di Leonardo. Romana di nascita e di formazione, vive da oltre 25 anni a Parigi e lavora al museo del Louvre. È l’autrice di quello che è stato definito il «restauro del secolo»: la «Sant’Anna con la Vergine e il Bambino» di Da Vinci. Quando si è accorta delle analogie con la «vera» Gioconda, ha chiamato Vincent Delieuvin, capo curatore dei dipinti per il Louvre, che da Parigi è corso subito a Roma.

Dall’analisi dei pigmenti si è potuto datare il dipinto: risale al Cinquecento, al contrario di quanto si pensava fino a pochi anni fa, ossia che la genesi si collocasse nell’800. La Monna Lisa della collezione Torlonia è stata inoltre analizzata ai raggi infrarossi e sottoposta a una radiografia, che ha fatto emergere il disegno originale, nascosto dietro le pennellate. Ebbene, alcune «correzioni» (i cosiddetti «pentimenti» dell’artista) sono identiche a quelle fatte da Leonardo sulla Gioconda esposta al Louvre.

Ad esempio, è stata ridisegnata la forma delle dita della mano sinistra di Monna Lisa e sono state aggiustate le sue dimensioni, esattamente come nel dipinto originale. Questo dimostrerebbe che la Gioconda di Montecitorio non è una banale copia postuma, ma che la sua realizzazione ha viaggiato di pari passo con la «gemella» più famosa. Solo Leonardo, o chi lavorava con lui, poteva infatti sapere quali correzioni fare al disegno.

Una storia simile alla Gioconda del Prado, considerata fino a un decennio fa una delle tante copie del capolavoro di da Vinci e ora esposta nel museo di Madrid, in una mostra personale dedicatale fino al 23 gennaio, per gettare nuova luce anche sull’originale del Louvre.

Recentemente, infatti, la Gioconda del Prado è stata a sottoposta a studi e analisi che hanno rivelato si possa trattare della prima copia di cui si ha notizia, con tutta probabilità eseguita nella stessa bottega di Leonardo. L’allievo, non ancora identificato, «copiò anche la Sant’Anna e il Salvator Mundi», spiegano i curatori dell’esposizione spagnola. Si è ipotizzato che a realizzare il dipinto spagnolo possa essere stato Andrea Salaì, che si unì allo studio di Leonardo nel 1490 e potrebbe essere diventato il suo amante, o Francesco Melzi, che arrivò intorno al 1506. I due allievi del maestro potrebbero essere gli stessi ad aver realizzato, sotto la sua supervisione, anche la Gioconda di Montecitorio.

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