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Il governo continua ad umiliare il Parlamento. Camere ridotte a votare a scatola chiusa

Paolo Cirino Pomicino
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In questo comprensibile coro unanime di appoggio al governo Draghi e al suo premier si fa peccato se si sottolinea qualche errore, qualche ingenuità, insomma qualcosa di sbagliato che rischia di avere come effetto alcune divisioni nello stesso governo e tra le forze che lo appoggiano? Se per caso fosse un peccato chiederemmo scusa ma la nostra intenzione è quella di dare una mano all'Italia oltre che a questo governo. La discussione intervenuta nella riunione tra le delegazioni dei partiti e il ministro dell'Economia un paio di giorni fa poteva tranquillamente essere evitata sempre quando si fossero seguite le tradizionali procedure per l'approvazione della legge di bilancio in Consiglio dei ministri. Le procedure antiche e consolidate in anni di esperienza prevedevano, infatti, che nella preparazione della legge di bilancio ci fossero incontri ravvicinati tra il ministro dell'Economia e del suo staff con ogni singolo ministro di spesa permettere a punto tagli e investimenti in ogni singolo settore. Esaurita tale procedura si andava nel Consiglio dei ministri dove si discuteva collegialmente tenendo fermi i saldi di bilancio. L'autorevolezza del premier e dello stesso ministro dell'Economia portava rapidamente all'approvazione del testo proposto visto e considerato che qualunque spostamento di risorse avrebbe premiato un settore a scapito di un altro in un quadro in cui i saldi complessivi non potevano cambiare e che nel successivo percorso parlamentare le forze politiche avrebbero potuto integrare, correggere, mutare il testo. Ma quale governo della cosiddetta Prima repubblica ha mai immaginato che nella redazione della legge di bilancio si chiamavano i rappresentanti dei partiti e i sindacati per discuterne l'impianto prima dell'approvazione in consiglio dei ministri?

 

 

Nessuno mai lo ha fatto perla semplice ragione che il confronto tra governo e partiti anche della maggioranza si faceva in Parlamento il quale, peraltro, prima di esaminare il testo faceva lui le audizioni delle forze sociali e di altre realtà economiche ed istituzionali. Insomma a ognuno il suo compito era la saggia scelta di un costume antico. Che senso ha fare riunioni defatiganti prima del consiglio dei ministri con i partiti e sindacati quando il tutto può essere fatto nel luogo proprio del confronto e cioè nel Parlamento della Repubblica? Ci rendiamo conto che la presenza di molti tecnici può far dimenticare le buone pratiche parlamentari che disciplinano, per prassi consolidate, l'iter di approvazione del bilancio ma in realtà questo pessimo metodo è iniziato con la Seconda repubblica tanto che già negli anni '90 con il governo Prodi si inaugurò questo confronto tra governo, partiti e forze sociali nel luogo improprio di palazzo Chigi piuttosto che nelle Camere. Ricordiamo molto bene che questa anomalia procedurale che concentrava il confronto a Palazzo Chigi e non in Parlamento fu colta e condannata dall'allora segretario politico di Rifondazione comunista Fausto Bertinotti. Non fu un caso, poi, che nel prosieguo degli anni il Parlamento è stato sempre chiamato a voti di fiducia per approvare i maxi emendamenti del governo e l'approvazione finale della stessa legge di bilancio nel suo complesso. Noi avemmo l'onore di guidare come presidente della relativa commissione e poi come ministro del Bilancio l'iter parlamentare di ben dieci leggi finanziarie (era questo il vecchio nome della legge di bilancio) e in nessun momento fu chiesto un voto di fiducia e il maxi emendamento finale era proposto in commissione bilancio dal suo presidente e il testo così approvato andava poi in aula. Se ricordiamo le antiche procedure è solo perché la crisi politica che affanna il paese da oltre 25 anni sta lentamente generando una crisi istituzionale attraverso la emarginazione di un Parlamento sempre più distaccato dalla società e dai suoi problemi reali concentrando nel governo poteri e contraddizioni che dovrebbero essere proprie delle aule parlamentari.

 

 

Sono i partiti che devono darsi, allora, una mossa ridando innanzitutto agli elettori il diritto di scegliersi i propri deputati e senatori allo stesso modo di come si scelgono i consiglieri comunali e regionali per ripristinare quel legame interrotto tra eletto ed elettore. Senza questo legame difficilmente la politica potrà tornare a guidare una società inquieta e complessa come quella italiana è finisce solo per inseguirla cavalcando qualunque cosa purché garantisca visibilità. Purtroppo siamo giunti a questo punto di crisi politica. Lo vediamo nel dibattito sull'attuale legge di bilancio che peraltro è di una banalissima «ordinarietà» che non merita nessuno scontro visto che la contesa si riduce a come utilizzare appena otto miliardi di euro lasciando giustamente che le grandi scelte siano finanziate dal Pnrr e gestite dalle varie cabine di regia governative verso le quali il Parlamento dovrebbe organizzarsi per monitorare tempi e modalità evitando di ritardare le opere trasformando le critiche in suggerimenti. Per tutti questi motivi restiamo fermamente convinti che l'opera per cui Mario Draghi è stato chiamato dal presidente Mattarella continui a vederlo impegnato alla guida del governo per evitare che in piena pandemia e con un Pnrr ancora in embrione si apra una crisi di governo e salti questa unità tra le forze politiche realizzata intorno all'ex presidente della banca centrale europea. 

 

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