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Sergio Mattarella dice ancora no al Quirinale-bis: totale indisponibilità e irritazione per la mossa Pd

Donatella Di Nitto
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Si scrive «stupore», ma si legge «irritazione». Questo il sentimento che filtra da chi ha avuto modo di parlare con Sergio Mattarella, alla lettura dei giornali, con ititoli che evocavano il bis del capo dello Stato dopo il deposito della legge che vietala rielezione al Colle e cancella il semestre bianco. Interpretazioni arbitrarie sulla portata della modifica costituzionale - a firma di Dario Parrini, Luigi Zanda e Claudio Bressa che avrebbe «convinto» l'inquilino del Colle ad accettare una ricandidatura, con la promessa «parlamentare» di non permettere in futuro la possibilità di ricorrere al doppio mandato. Nulla di tutto questo, filtra dal Quirinale, semmai il contrario. L'aver invitato più volte le due Camere a modificare un vulnus della Carta - ricordando due precedenti illustri come Antonio Segni e Giovanni Leone - altro non fa che confermare e rafforzare la convinzione di Mattarella a lasciare l'incarico il 3 febbraio e chiudere la porta definitivamente a una sua rielezione. Nessuna via di fuga insomma per i partiti, che non riescono neanche ad avvicinarsi, figuriamoci a confrontarsi su quello che dovrebbe essere il nome condiviso, superpartes ed espressione di una larga maggioranza parlamentare.

 

 

Il disegno di legge - che modifica due articoli della carta l'85 e l'88, che si riferiscono rispettivamente alla durata del mandato del presidente della Repubblica e all'impossibilità di sciogliere le Camere negli ultimi sei mesi di guida del Colle - secondo alcune interpretazioni voleva convincere Mattarella a considerare l'opzione del bis, per continuare ad accompagnare il paese nella difficile lotta alla pandemia, lasciando così a palazzo Chigi Mario Draghi, impegnato nell'attuazione del Pnrr. Un compito a tempo - come fece prima di lui Giorgio Napolitano - con il sospetto che lo stesso Mattarella avesse avallato un disegno di questo genere. Ricostruzione smentita dal Colle, senza possibilità di replica, anzi la circostanza che in Parlamento ci si proponga di inserire nella Costituzione questo divieto - si fa notare - è infatti motivo di ulteriore conferma della ben nota opinione del presidente. Una porta sbattuta, questa la portata della velina che filtra dal palazzo dei Papi e che manda in confusione il Parlamento. I piani di alcuni partiti - come il Pd, parte del Movimento 5 Stelle e di diversi esponenti centristi - saltano con i corridoi della politica che si riempiono di facce sgomente mentre si pronuncia la frase, «ora che si fa?». Certamente, ragionano gli addetti ai lavori, «non si poteva pretendere che Mattarella rispondesse "ci sto" quando i leader neanche hanno cominciato a parlarne». E anche da palazzo Chigi quello «stupore» consegnato alle agenzie di stampa viene letto come un «chiamarsi fuori» dalla partita.

 

 

Tuttavia qualcosa si muove e chi non sembra invece «stupito» della risposta di Mattarella è Italia viva, che pur senza un metodo, tenta di rafforzare la squadra in vista della convocazione del Parlamento in seduta comune. Le indiscrezioni pubblicate dal Corriere della Sera vengono confermate dal partito guidato da Matteo Renzi, che parlando di una «ipotesi di lavoro» con Coraggio Italia del tandem Toti-Brugnaro che porterebbe in Parlamento la fusione dei 27 deputati alla Camera e 15 al Senato più Riccardo Nencini (Psi) con i gruppi di CI che contano 22 elementi a Montecitorio e 7 a Palazzo Madama. Ipotesi che però non convince proprio il movimento fondato dal governatore della Liguria. Secondo quanto apprende LaPresse da fonti interne al movimento guidato da Giovanni Toti e Luigi Brugnaro, sarebbero solo 10 i parlamentari pronti a seguire una eventuale «ipotesi di lavoro» e collaborazione in Parlamento in vista dell'elezione del presidente della Repubblica di gennaio. Si tratta, filtra da fonti qualificate, dei sette senatori (tra cui Gaetano Quagliariello, Paolo Romani e Maria Rosaria Rossi, ndr) e di tre deputati, quindi una operazione che andrebbe a rafforzare il partito di Renzi, soprattutto al Senato dove è sicuramente più debole, «per tornare a dare le carte». I malumori in Coraggio Italia sono infatti «in crescendo», anche per il mancato coinvolgimento di tutti. Una trattativa nata e sviluppatasi nelle segrete stanze del Senato, che rischia di «fagocitare» parte del movimento che oggi ancora si dice «convintamente» nel centrodestra. Così facendo, lamenta un parlamentare vicino a Toti, «si va a rafforzare la squadra» di Renzi, con Coraggio Italia in minoranza. È evidente, filtra, che il leader di Iv, «vuole tornare a contare nella partita del Quirinale, come ha fatto con Conte» avendo un gruppo di 55/60. E in vista di un voto anticipato? «La gente se sa che nella lista c'è Renzi non ti vota...», è il commento.

 

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