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Porcata agli elettori non solo a Lotito. Così la politica finisce in barzelletta
Carta vince carta perde. E il gioco sporco lo hanno fatto a Palazzo Madama su Claudio Lotito e alla faccia di tutti quegli elettori che avevano scelto la sua lista e non quella di Vincenzo Carbone, candidati alle politiche del 2018 con Forza Italia in due collegi diversi della Campania.
Con un voto scimitarra, i senatori hanno deciso che in quel caso il voto popolare non contava nulla; che la giunta delle elezioni del Senato non sa fare il suo lavoro; e che alla stregua del Marchese del Grillo io so’ io e tu...
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Già, perché la proclamazione di Claudio Lotito a senatore doveva essere votata ieri dall’Aula. La giunta per le elezioni – presieduta da Maurizio Gasparri – aveva svolto un lungo e complesso lavoro durato due anni per accertare che il seggio in questione spettava al presidente della Lazio e non al senatore di Italia Viva transfuga dal partito di Berlusconi.
La giunta per le elezioni è un tribunale composto da 23 senatori di tutte le forze politiche che devono scartabellare verbali, ricorsi, norme e tutto quel che serve per verificare la fondatezza di un reclamo verso la proclamazione degli eletti. E aveva stabilito la prevalenza delle ragioni di Lotito.
Poi, un muro incredibile ha fatto perdere un altro anno e mezzo circa per portare nell’Aula di Palazzo Madama la decisione finale, affidata ad un plenum di oltre trecento senatori che certo non hanno approfondito come i loro colleghi della giunta per le elezioni. Roba da ratifica della decisione e basta, insomma.
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E invece c’è stato il ribaltone ad personam. È bastato un voto segreto su un documento presentato dalla senatrice De Petris (Leu) per vanificare il lavoro della giunta che ora deve rimettersi a calcolare quello che ha già calcolato. Sembra una barzelletta e invece è una smaccata e deplorevole violazione delle regole.
Su Lotito la maggioranza dei senatori imboscati nel voto segreto ha agito per fregarlo. Ponzio Pilato non avrebbe saputo fare di meglio.
Del resto siamo nel Paese dove deve governare chi perde le elezioni: «normale» quindi che in Senato non venga ammesso chi le vince.
Meno normale dovrebbe essere invece il comportamento dell’Aula rispetto all’organo parlamentare che quelle pratiche le esamina con l’attenzione che deve. Perché è una questione di rispetto del voto popolare, che invece viene calpestato.
Ieri si votavano quattro casi elettorali, sui quali la giunta per le elezioni aveva deliberato. Ebbene, due di essi sono stati sovvertiti dal plenum di Palazzo Madama. Il caso Lotito-Carbone, appunto; e quello legato ad un senatore eletto all’estero, Cario, a cui l’assemblea ha negato il seggio che invece la giunta aveva riconosciuto.
Le altre due decisioni sono passate: in Puglia il seggio della senatrice Minuto è andato al neosenatore Boccardi; mentre quello del leghista veneto scomparso recentemente Saviane, è stato attribuito alla leghista eletta in Calabria Minasi. In questo caso con la coda di una lite tra Lega e FdI, che pretendeva il seggio di un senatore del Carroccio deceduto ad un proprio esponente veneto.
I quattro casi all’ordine del giorno hanno dato una picconata all’istituto dell’autodichia, ovvero la competenza del Parlamento a giudicare al proprio interno su fatti che riguardano la vita delle Camere.
A volte la giunta per le elezioni ci azzecca, altre volte no, dice il Senato con quei voti differenziati.
Ma se si procede così, tutto diventa solo un voto politico senza alcun rispetto per la funzione giurisdizionale attribuita proprio con l’autodichia. A decidere è la prevalenza del voto politico, della simpatia. E quando si parla di diritto, questo è uno sfregio.
Una questione che dovrebbe stare a cuore soprattutto ad una giurista di razza quale la Presidente Elisabetta Casellati, che farebbe bene a sollecitare semmai un rapidissimo esame del caso Lotito da parte della giunta Gasparri per riportarlo di nuovo all’esame dell’Aula. Se si elegge il nuovo presidente della Repubblica non lo si faccia con un plenum quantomeno dubbio. Quanto è accaduto ieri è oltre l’indecenza.