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Variante Omicron sul Quirinale, chi vuole prolungare il mandato di Mattarella

Angelo De Mattia
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Omicron, prima ancora che se ne valutino gli impatti sul vaccino, sta avendo un riflesso con un ruolo, sincero o attentamente studiato e strumentalizzato, nel dibattito che, ormai, è illusorio fermare, sull’elezione del Capo dello Stato. La comparsa di questa nuova variante (etichettata con la lettera dell’alfabeto del greco antico distante da "delta", dunque, superando molte altre lettere che lo precedono) sta diventando, a seconda dei casi, l’occasione propizia, il pretesto o la chiave presuntamente risolutiva per rilanciare, da parte di non pochi politici, l’esigenza di un nuovo mandato all’attuale Presidente, Sergio Mattarella, con la prosecuzione di Draghi nell’attuale carica a Palazzo Chigi.

 

Certo, non si omette di approfondire le conseguenze della nuova variante sul piano sanitario, mentre su quello economico-finanziario si discute ben poco. Ma, poi, ad Omicron si attribuisce un effetto tale - insieme con la crescita già in atto da diversi giorni dei contagi - che dovrebbe indurre a non apportare alcuna modifica all’assetto vigente delle più alte cariche dello Stato per poter così affrontare adeguatamente l’azione di contrasto di questo nuovo «nemico» che per ora neppure si conosce bene. Insomma, per alcuni, «ex malo» (la variante), «bonum», il rilancio dell’iniziativa per la presidenza della Repubblica. Eppure Mattarella ripetutamente ed esplicitamente ha dichiarato l'indisponibilità a un secondo mandato muovendo principalmente, non da considerazioni personali, che pure hanno la loro importanza e sono state anche rappresentate, ma da argomentazioni di livello costituzionale e dal richiamo, mai finora effettuato in maniera così esplicita e argomentata, di due suoi autorevoli predecessori.

 

Come ha sottolineato, Antonio Segni e Giovanni Leone, due grandi giuristi, erano contrari alla conferma nella carica per un altro settennato e favorevoli all’inclusione del limite non superabile dei sette anni nella stessa Carta, abrogando contestualmente, il «semestre bianco». Avendo il Capo dello Stato coperto con le motivazioni dell’indisponibilità l’intero arco delle ragioni validamente adducibili, è una forzatura ritornare sulla proposta che, in alcuni casi, addirittura sembra avere lo scopo recondito di «tenere il posto» per Draghi fino al 2023, quando finirà la legislatura. Ma vi è anche l’altra posizione, quella di coloro che sostengono l’essenzialità della permanenza di Draghi a Palazzo Chigi per escluderlo di fatto dalla competizione per il Quirinale. Gira e rigira, l’immagine che si offre non è esaltante. Appare una classe politica incapace di guardare al di là di due alti esponenti, Mattarella che ha molto ben meritato del Paese, e Draghi, che comunque, per una valutazione seria, non agiografica, deve ancora compiere la propria opera per essere giudicato.

 

È mai possibile che non esistano personaggi dentro e fuori il Parlamento che possano validamente incarnare un’alternativa idonea? Che, in sostanza, possano evitare che ci si comporti come se non si credesse fino in fondo alle affermazioni di Mattarella o come se si pensasse che una catastrofe potrebbe indurlo a una rimeditazione? Questa è l’immagine che si offre dell’Italia e della rappresentanza politica? Non vi è in ciò anche una sottovalutazione del dovuto rispetto? E non si pensa alla credibilità successiva a una revisione dell’indisponibilità dopo tanti dinieghi, revisione ovviamente che, dato il carattere di Mattarella «hombre vertical» non appare affatto nell’ordine delle cose? Anche per le decisioni da assumere nell’economia e nella finanza pubblica, a cominciare dal portare a termine la legge di bilancio, e per l’attuazione del Piano di ripresa e resilienza occorrerebbe dare un segnale di saldezza e stabilità, nonché di non traumaticità dei ricambi istituzionali, mentre si combatte la recrudescenza della pandemia. E, invece, stiamo camminando, sembra, in direzione opposta. Siamo già arrivati alla «spes contra spem»?
 

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