Dopo Draghi si torna al bipolarismo, cosa succede in Italia
Il centrodestra ha indubbiamente i suoi problemi, ma l’ultimo sondaggio Winpoll lo dà comunque in vantaggio di più di sei punti sull’alleanza Pd-Cinque Stelle-Leu, a conferma del forte radicamento popolare di una coalizione che in questa legislatura non ha certo brillato per unità d’intenti. Ma se Sparta non ride, Atene piange a dirotto, nel senso che dall’altra parte stanno implodendo prima di nascere sia il cosiddetto campo largo di Letta che il terzo polo centrista in cui Renzi e Calenda si beccano ormai quotidianamente peggio dei manzoniani polli di Renzo. Certo, rapporti di forza, equilibri e schieramenti si definiranno solo dopo la partita del Quirinale, un appuntamento a cui il sistema dei partiti si sta avvicinando come un convoglio che viaggia a fari spenti – e senza conducente - nella nebbia, ma se il centrodestra riuscirà a non disperdere il vantaggio di partenza potrebbe portare a casa un risultato storico e approcciarsi nel modo migliore alle prossime elezioni.
Del resto, le baruffe tra i cespugli neocentristi e quelle in corso a sinistra, con Pd e grillini che litigano perfino sulla nomina del relatore della manovra economica al Senato, dovrebbero indurre anche i forzisti più scettici sull’alleanza con il sovranismo a valutare con molta attenzione l’ipotesi di una fuga verso il centro «moderato», che rischia di trasformarsi in un’avventura senza sbocchi e senza ritorno, soprattutto se si andrà al voto con l’attuale legge elettorale. Così come la fantomatica maggioranza Ursula resta una mera esercitazione politologica più che uno scenario realistico.
Dopo la parentesi obbligata dell’unità nazionale, è infatti fisiologico che torni a pieno titolo il bipolarismo, in cui non ci sarà spazio per uno schieramento in grado di condizionare la politica nazionale ripristinando la vecchia politica dei due forni. Quello del centro è un fantasma che nella seconda Repubblica è ricomparso puntualmente quando il sistema politico è entrato in crisi, ma si è quasi sempre trattato di operazioni di Palazzo di cortissimo respiro. Basti pensare all’esperimento nato intorno alla figura del professor Monti, la cui Scelta civica si dissolse in Parlamento dopo una mediocre prova elettorale. Ora qualcuno ci sta riprovando, nonostante i pregressi e acclarati fallimenti, ipotizzando di dare forma o al cosiddetto partito di Draghi, allo scopo di lucrare sull’altissimo gradimento del premier per presentare un’offerta politica a sua immagine e somiglianza, o a un’aggregazione riformista separata e distante sia dai sovranisti che dalla gauche rossogialla a cui sta lavorando Letta. Operazioni molto complicate, che presupporrebbero un improbabile ritorno al proporzionale, e che rischiano dunque di rivelarsi totalmente velleitarie: il bipolarismo italiano, con tutti i suoi endemici difetti, è stato infatti messo in crisi solo dalla comparsa di un movimento qualunquista di massa come i Cinque Stelle, che non aveva nulla a che vedere col centrismo. Non a caso, ora che il suo nuovo leader Conte cerca di accreditarsi come il volto moderato del populismo, la curva dei consensi ha imboccato una inarrestabile parabola discendente.
La resistibile ascesa degli aspiranti centristi sembra avere dunque un epilogo scontato, anche se Renzi riuscirà, con la sua riconosciuta abilità di manovra, a fare del corpaccione mediano del Parlamento l’ago della bilancia decisivo per il nuovo inquilino del Colle. Ma una cosa sono le manovre di Palazzo, tutt’altra i cimenti elettorali, e qui cascherà probabilmente l’asino, perché il numero degli aspiranti centristi è inversamente proporzionale al bacino di voti potenziali.