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Balneari, batosta dal Consiglio di Stato: "Stop concessioni a fine 2023". Cosa farà ora Draghi?

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Le attuali concessioni ai balneari delle spiagge facenti parte del demanio pubblico potranno proseguire solo fino al 2023, e solo per dare al governo il tempo di avviare l'indizione delle procedure del bando per acquisire nuovamente la loro gestione.

E' quanto ha deciso il Consiglio di Stato in una sentenza molto attesa, specie dopo che il governo Draghi aveva deciso di lasciare fuori l'annoso tema delle concessioni dal ddl Concorrenza e, dopo i rilievi dell'Europa sul tema, aveva fatto filtrare proprio di attendere delle pronunce giurisprudenziali.

Per consentire alla pubblica amministrazione di «intraprendere sin d’ora le operazioni funzionali all’indizione di procedure di gara», per «consentire a Governo e Parlamento di approvare doverosamente una normativa che possa finalmente disciplinare in conformità con l’ordinamento comunitario il rilascio delle concessioni demaniali», nonché per evitare l’impatto sociale ed economico della decisione, le attuali concessioni demaniali marittime potranno continuare fino al 31 dicembre 2023. Questo è quanto stabilito dall’adunanza plenaria del Consiglio di Stato con due sentenze pubblicate oggi.

Dal giorno successivo al 31 dicembre 2023, spiega il Consiglio di Stato, non ci sarà alcuna possibilità di proroga ulteriore, neanche per via legislativa, e il settore sarà comunque aperto alle regole della concorrenza. Scaduto tale termine, quindi, «tutte le concessioni demaniali dovranno considerarsi prive di effetto, indipendentemente da se via sia o meno un soggetto subentrante nella concessione».

L’adunanza plenaria del Consiglio di Stato, rimarcando «l’eccezionale capacità attrattiva del patrimonio costiero nazionale», ha affermato che la perdurante assenza (nonostante i ripetuti annunci di un intervento legislativo di riforma, mai però attuato) di un’organica disciplina nazionale delle concessioni demaniali marittime genera una situazione di grave contrarietà con le regole a tutela della concorrenza imposte dal diritto dell’U.E., perché consente proroghe automatiche e generalizzate delle attuali concessioni (l’ultima, peraltro, della durata abnorme, sino al 31 dicembre 2033), così impedendo a chiunque voglia entrare nel settore di farlo. Secondo i giudici di Palazzo Spada, il confronto concorrenziale, oltre a essere imposto dal diritto Ue, «è estremamente prezioso per garantire ai cittadini una gestione del patrimonio nazionale costiero e una correlata offerta di servizi pubblici più efficiente e di migliore qualità e sicurezza, potendo contribuire in misura significativa alla crescita economica e, soprattutto, alla ripresa degli investimenti di cui il Paese necessita». I concessionari attuali potranno comunque partecipare alle gare che dovranno essere bandite.

«Ancora una volta è stato necessario attendere una sentenza per modificare quello che la politica italiana aveva reso immodificabile pur essendo palesemente illegittimo e indifendibile. In questa legislatura almeno in quattro occasioni, legge di delegazione europea del 2018, legge europea 2018 e 2020, legge di bilancio 2021, ho presentato emendamenti per cambiare le norme italiane sulle concessioni balneari esattamente nella direzione sancita oggi dal Consiglio di Stato. Tutti sono stati sempre respinti dalla quasi totalità della Camera e ancora nell’aprile scorso il governo non accolse un ordine del giorno collegato alla legge europea che impegnava il governo a fare esattamente quello che sancisce la sentenza odierna del CdS». Lo ricorda il deputato Riccardo Magi, presidente di Pìù Europa.

«Conformarsi al diritto europeo non è solo un obbligo, ma significa perseguire l’interesse pubblico e il rilancio di una parte significativa del settore turistico. In alternativa si sarebbe lasciato un intero settore nell’incertezza giuridica e agli italiani l’onere di pagare ulteriori sanzioni. Il Presidente Draghi sin dal suo primo discorso davanti alle Camere ha posto la giusta enfasi sul valore della concorrenza al servizio della ripresa economica e sui ritardi che il nostro Paese deve recuperare, ora il governo adegui il Ddl Concorrenza», conclude.

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