Cerca
Cerca
Edicola digitale
+

Inchiesta Open, privacy violata di Matteo Renzi. Che silenzio a sinistra

Benedetta Frucci
  • a
  • a
  • a

“Di fronte al golpe postmoderno che vede l’alleanza di clan giudiziari con clan dell’informazione, è praticamente impossibile difendersi”. Suonano quanto mai attuali queste parole pronunciate da Hammamet da Bettino Craxi, perché la storia, come un ciclo, sembra ripetersi. O meglio, il ciclo sembra non essersi mai interrotto, questa volta con una procura che pretende di stabilire cosa sia un partito politico e cosa no. Quella stessa procura decide, a sostegno della sua tesi accusatoria, di chiamare come testimoni i principali avversari politici dell’indagato.

Sempre la stessa procura - e lo stesso pm - decidono negli anni di indagare, in ordine sparso, genitori, sorella, cognato e amici del sospettato. Sembra il racconto di un processo sudamericano e invece siamo a Firenze e il protagonista delle attenzioni del Pm è Matteo Renzi. Ma andiamo con ordine.

Il leader di Italia Viva viene accusato di finanziamento illecito, avvenuto per tramite della Fondazione Open, che si è occupata di finanziare la Leopolda. I bonifici sono tutti tracciati: insomma, un atteggiamento tipico del criminale di professione, quello di commettere un reato così, alla luce del sole. Il pm però non demorde e scatena la guardia di finanza: con uno stanziamento di risorse pari a quello di una maxi inchiesta per mafia, 300 finanzieri irrompono all’alba nelle case dei criminali che hanno osato finanziare la Fondazione.

La Cassazione smonta il teorema: non solo annulla i sequestri ma arriva a demolire l’impianto accusatorio della procura. E sarebbe qui interessante capire quanti denari degli italiani siano stati impiegati per sequestrare computer e cellulari di famiglie normali, mentre nelle terre di ‘Ndrangheta e Mafia le procure si trovano a corto di uomini o mentre le forze dell’ordine che dovrebbero garantire la sicurezza nelle nostre città si trovano a corto di benzina e impossibilitate ad effettuare controlli. Ma tant’è. Il Pm se ne infischia della Cassazione e procede a costruire il suo teorema. Arriva addirittura a chiamare come testimoni dell’accusa Rosi Bindi e Pierluigi Bersani, i due rottamati dal rottamatore, i nemici rancorosi. Un gesto platealmente arrogante che dimostra però come la procura abbia la consapevolezza che in Italia si possa fare di tutto, alla faccia dello Stato di diritto. Un processo politico in piena regola, nel silenzio dell’opinione pubblica.

I fascicoli dell’indagine finiscono così, un po’ per caso, nelle mani dei giornali. E il  Fatto Quotidiano arriva a pubblicare l’estratto conto di Matteo Renzi. Il clan, appunto. Una violazione di legge ai danni  del parlamentare, ma soprattutto del cittadino Renzi: non solo infatti, viene pubblicato un documento nella sola disponibilità del senatore, senza curarsi delle guarentigie parlamentari, ma ad essere violata è soprattutto la privacy del cittadino. E se questo accade per un personaggio pubblico, cosa succede a un Mario Rossi qualunque, che non ha tv, giornali, profili social seguitissimi, da cui far sentire la propria voce?

Sempre a proposito di violazioni, il Pm sembra poi infischiarsene a tutto tondo dell’articolo 68 della Costituzione che prevede, per l’utilizzo di intercettazioni che abbiano ad oggetto, diretto o indiretto, parlamentari, che sia richiesta l’autorizzazione della Camera di appartenenza: alla Giunta di Palazzo Madama peró, raccontano, nessuna richiesta è mai pervenuta.

Di fronte all’enormità dello sconfinamento della magistratura nel campo della politica, le reazioni sono indignate, al solito, solo da destra. A sinistra, invece, regna il silenzio, o, per chi volesse pensar male, si festeggia: nelle ore in cui scoppiava la bufera infatti, il segretario del Pd Enrico Letta pubblicava su Twitter la foto di un amaro al mandarino, con su scritto “super sassolino”,” seratona alla grande”, il commento a corredo del post.

Niente di cui stupirsi, se si pensa che nella storia i peggiori nemici dei riformisti sono stati da sempre i massimalisti. E ancora vengono alla mente le parole di Bettini Craxi, vittima per eccellenza di quel modo di pensare: “credo di essere uno degli uomini più di sinistra che ha avuto questo Paese negli ultimi 30 anni. Certo, non ero comunista. L’ortodossia comunista non tollera dei subalterni. Non vuole nemici a sinistra, chi si pone a sinistra viene massacrato. A destra o ti sottoponi o sei un fascista”.

La storia si ripete come un ciclo, appunto. Eppure, forse, quel ciclo potrebbe essere interrotto se dal Quirinale, dove siede il Presidente della Repubblica che è anche capo del Csm, qualcosa si muovesse. E questa vicenda potrebbe far aprire qualche riflessione in più ai partiti assediati sulla necessità di mandare al Colle un Presidente garantista…

Dai blog